lunedì 18 agosto 2014

PREMESSA

Ibis redibis non morieris in bello” è l'ambigua risposta della Sibilla Cumana ad un soldato in procinto di partire in guerra: è noto che tale risposta cambia completamente significato a seconda della posizione della virgola che se viene messa prima di "non" (ibis, redibis, non morieris in bello) significa "Andrai, ritornerai e non morirai in guerra" se, invece, la virgola viene spostata dopo la negazione (ibis, redibis non, morieris in bello), il senso risulta essere l'opposto "Andrai, non ritornerai e morirai in guerra". Ovviamente i responsi delle sibille erano solo orali lasciando quindi totale discrezione a seconda dei punti di vista.
Scrivo questo perchè l'importanza dei punti di vista risulta fondamentale nei Balcani in generale e nelle martoriate terre dell'ex Yugoslavia che ho attraversato nel mio viaggio estivo 2014. Il massacro di Srebrenica, e la Maratona internazionale Bihac-Srebrenica cui ho partecipato, era la motivazione principale della prima parte del mio viaggio mentre la Randonnèe Transdanubiana ungherese occuperà la seconda e più allegra parte di questo racconto.
Resta la tristezza per aver toccato con mano la violenza e la crudeltà che può ancora oggi far compiere atti tanto violenti contro persone che abitano paesi o anche case vicine alle nostre: proverò a raccontare la mia esperienza e le considerazioni cui sono giunto cercando di guardare sempre entrambe le facce della verità.
Aldilà di un'ardua divisione tra buoni e cattivi l'impressione che mi sento di sottoscrivere è che purtroppo il controllo sociale può oggi, forse ancora più di ieri, trasformare in pochi mesi ognuno di noi in un potenziale criminale e questo dopo i macelli del 20° secolo mi sembra assolutamente inconcepibile.
Mi auguro che il mio racconto possa aiutare qualcuno a considerare come il dividersi in fazioni spesso non sia che una losca operazione per garantirsi, per restare nelle citazioni latine, il “Divide et impera” a spese dei popoli e che solamente espandendo la propria consapevolezza fino ad abbracciare la visione degli “altri” si possa arrivare alla verità ed alla pace.
In fin dei conti solo considerando vere entrambe le risposte della Sibilla siamo sicuri aver “trovato” la verità...
Sibilla Cumana, Jan Van Eyck, Gand,  

.

ALL'INFERNO E RITORNO

UN GUAZZABUGLIO BALCANICO

Partendo per un lungo viaggio in bici come questo, frutto evidentemente di mesi di preparazione fisico-logistica, passo le prime ore cercando di staccarmi dalla consuetudine quotidiana e contemporaneamente ripassando tutta la dotazione che ho cammellato nelle borse. Si dice che un bagaglio sia ben fatto se entro l'arrivo avrai usato almeno una volta tutto quello che ti sei portato dietro, d'altra è pur vero l'adagio: se lo porti probabilmente non ti servirà ma se non lo porti probabilmente ti sarebbe servito. E' anche vero che alla fine tanti piccoli particolari da pochi grammi diventano chili e che soprattutto quando la strada sale il peso si sente più della mancanza delle forbicine o di calze invernali: come spesso succede nella vita è questione di sintesi ed equilibrio.
In bilico tra questi insegnamenti e sulla scorta di qualche esperienza passata, mi ritrovo a pedalare tra le colline a sud di Bled in una luminosa domenica mattina. Non deve sorprendere, visto il mio desiderio di partire da casa per questi lunghi viaggi ciclistici, questo luogo visto che la mia doppia nazionalità ed il fatto che da tutta la vita passo qui in Slovenia svariati mesi me la fanno sentire legittimamente come una seconda casa.
Il distacco dalla normalità diventa reale solo all'ingresso a Lubiana dopo 50km non perchè non conosca le strade della città natale materna ma perchè mi accorgo solo oggi che è vietato pedalare sulle stradeprincipali. Come nelle ben organizzate città nord-europee infatti ci sono ovunque ciclabili che però io cerco notoriamente di evitare visto che sono pericolose e rallentano molto la marcia. Sono un ciclo-anarchico, non so cosa farci, e non mi fermo neppure ai semafori se proprio non corro il rischio di essere asfaltato da una tangenziale in piena. Scoprirò solo al rientro che la multa per chi contravviene l'obbligo ciclabile è di 100€ ma la mattina del 6 luglio 2014 questo lo ignoravo e la fortuna mi aiuta, evidentemente è domenica mattina anche per gli sbirri sloveni..., e attraverso la città senza problemi. Spariscono le montagne della Gorenska ma colline e verde restano il contorno comune in questa che è la nazione europea con la più alta percentuale di boschi anche dopo il disastro causato dal gelicidio invernale.
Qualche km dopo Luce, un paese che avrebbe dovuto illuminarmi..., la strada diventa sterrata. E' un bello sterrato per intenderci, niente a che vedere con i carradoni bucherellati che costellano la pianura padana, liscio e ben tenuto ma avrebbe dovuto invitarmi a maggior prudenza rispetto alle tracce GPS cui mi affido in questi viaggi.
 Da anni utilizzo all'uopo il programma “Bike route toaster” che permette di tracciare un percorso dando alcune preferenze tipo “evita le autostrade oppure gli sterrati” che però non sempre vengono rispettate nei 3/4 secondi che il programma inpiega per elaborare 150km di traccia. Se infatti la prima richiesta è abbastanza semplice per la seconda esistono molte variabili tipo “risparmiamo sulla manutenzione” oppure “guerre che cambiano i confini” cui il software in questione male si adatta. Comunque questa variante sterrata mi permette di arrivare a Krka risparmiando qualche chilometro, mi fermo a fare quanche foto al castello medievale di Žužemberk
 e nel primo pomeriggio arrivo agilmente al camping presso le Terme di Dolenjske Toplice dopo ho pianificato la prima facile tappa di 120km. Mi sono tenuto un po' di tempo per godermi qualche ora a mollo prima delle dure tappe Bosniache.

Alla sera mangio la prima di una lunga serie di pizze, non sono terre per vegetariani queste..., e ascolto i discorsi incazzati dei locali sulle lezioni di domenica prossima: inizio a percepire quel senso di “si stava meglio quando si stava peggio” che mi accompagnerà in questo viaggio nell'ex Yugo. E' forte la sensazione di delusione nei confronti della classe politica dopo le speranze ispirate dall'indipendenza conquistata nel 1991: poco lavoro, meno tutele sociali, politicanti corrotti sono il piatto amaro che si trovano a masticare anche i “ricchi” sloveni. D'altronde bisogna capirli: hanno fatto due guerre per l'indipendenza in 50 anni e sono stati poi puntualmente fregati dalla nuova classe dirigente...mi viene in mente Battiato quando cantava “Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia...”
Mi risveglio all'alba nel campeggio semideserto abitato solo dagli onnipresenti olandesi e da un camper tedesco. Ripongo purtroppo la tenda bagnata fradicia per l'umidità del vicino torrente che mi ha “allietato” col canto di ogni sorta di animale notturno. Sarò l'unica notte in tenda del viaggio e forse è meglio così...il campeggio è roba per placidi visitatori non per pedalatori “fast &furious...”

La seconda tappa inizia a fare sul serio sia in termini di chilometraggio che di terre tormentate: attraverserò la Croazia per arrivare a Bihac in Bosnia. Il battesimo di guerra sarà più caliente del previsto ma andiamo per gradi...
Entro con calma in Croazia che attraverserò nella parte centrale, la più corta; nei primi km la strada continua a essere contornata da ridenti colline ma a poco a poco il panorama si fa più brullo e carsico. Il mio GPS, sempre alla ricerca della strada più corta, mi fa passare da stradine e paesini sconosciuti anche ai locali su tratturi che fortunatamente sono bucherellati ma asfaltati. Sembra di essere a casa nel carpigiano insomma...Fa molto caldo e verso le 12 mi fermo a mangiare qualcosa davanti al singolare ponte di Tounj costruito in due tempi: il primo nel '700 e il secondo nel 1835 quando oltre alla seconda arcata furono sistemate anche alcune statue romane.
 Il luogo, vista la montagna di spazzatura che lo ammorba sembra però più frequentato da ubriaconi notturni che da compassati turisti olandesi. Risalgo in bici con temperature sui 35° e in un continuo su e giù visto che da queste parti il concetto di pianura è sconosciuto. Attraverso laghetti e fiumi con splendide acque blu e devo veramente resistere alla tentazione di buttarmi dentro per rinfrescarmi...devo dire però che il tutto è molto roccioso e non vedo alcun bagnante. Veramente la zona è semidesertica di suo e sì che dovrei essere ormai all'altezza del famoso parco dei laghi di Plitvice.
 A posteriori vorrei modificare l'aggettivo in famigerato parco perchè oltre alle bellezze naturali il luogo è più tristemente famoso per essere stato proprio l'inizio della guerra civile 1991-95. Infatti la strada inizia a essere bordata da cimiteri improvvisati, monumenti, immagino dell'ex Yugoslavia, distrutti e case bucherellate e disabitate. Ci rimango male non perchè fossero cose alle quali eroimpreparato, anzi era proprio questa la ragione del mio viaggio, ma non già qui e ora. In fin dei conti siamo a 70 km dal confine sloveno e a 200 da Trieste e sono passati 20 anni invece in molti posti la storia si è fermata, soprattutto se le case distrutte appartenevano all'etnia perdente che evidentemente non è più potuta rientrare, ammesso sia ancora viva, nelle proprie vecchie abitazioni. Mentre rimugino su questi disastri mi rendo conto che sono a corto di acqua, sembra incredibile in una zona famosa per laghi e cascatelle che però, fenomeno tipicamente carsico, stanno in fondo alle vallate mentre sopra, dove passa la mia dannata strada, il terreno è proprio secco e quasi desertico. Mi viene in mente la brutta avventura passata l'anno scorso nella Marne e constato che le guerre lasciano evidentemente scorie psichiche negative e difficilmente quelle località vengono riabitate. Continuo a pedalare visto che sul navigatore ho visto che manca poco a Mjesto Primislje e le mie scarse conoscenze in croato mi permettono di sapere che Mjesto significa città perciò, penso, qualcosa troverò. Quello che mi aspetta invece è rappresentato da questa foto 
ed il paese è totalmente distrutto o bruciato e comunque disabitato.Sembra uno di quei posti abbandonati del Far West. Sono veramente sconvolto da questo spettacolo e anche preoccupato visto che la strada prosegue in un altipiano brullo e senza traccia umana...stringo i denti e finalmente arrivo in periferia di Slunj, città questa volta viva e popolata. Al primo segno di vita elemosino una borraccia d'acqua che mi risveglia. Il peggio è passato penso, mancano una cinquantina di km da Bihac...un paio di orette ed anche oggi è fatta. Per fortuna all'uscita del paese la brutta esperienza passata mi spinge a fermarmi in una casetta e chiedere acqua anche per la seconda borraccia. Esce una gentile vecchietta rincartapecorita con un'enorme caraffa di birra piena d'acqua fresca che mi chiede la destinazione: vado a Bihac in Bosnia annuncio trionfalmente e lei mi guarda strano...da questa parte? Mi chiede ma io faccio il grande e sfoggio il mio “sicuro” GPS che mi porterà in Bosnia tra stradine sconosciute a questi rozzi paesani...sticazzi! Non mi insospettisco neppure quando dopo un po' di km la strada diventa sterrata poi a poco a poco il percorso diventa brutto brutto brutto soprattutto per uno che pedala su una bici da corsa con 12kg di borse e copertoni da 23mm. Sarà qualche km, mi dico, anche perchè non ho visto cartelli stradali che indicassero la Bosnia e non mi sembra di avere altre alternative che proseguire. Dopo qualche altro km la strada si fa decisamente impossibile tra strappi e discese che sarebbero difficili da percorrere anche in MTB, la sensazione di ostilità è aggravata dalla mancanza totale di traffico e da sinistri cartelli che indicano la vicinanza al confine di stato e invitano a non abbandonare la “strada maestra”.
 Spesso devo scendere e spingere la bici. Le uniche tracce di vite sono trucidi cani pastore che mi abbaiano contro. Dopo un'ora e più di questa tortura compare qualche traccia di strada asfaltata che mi fa ben sperare ma è solo un'illusione. Infine scendo decisamente a valle e il tutto termina impietosamente nei pressi di un fiume dal nome mistico di Korana il cui attraversamento è tuttavia brutalmente impedito da una fitta muraglia di filo spinato rinforzato da spinosi rami di acacia.
 Oltre al ponte vedo la bandiera bosniaca e capisco tutto: la mappa che segue il mio GPS è antecedente alla guerra quando questo era evidentemente un normale passaggio all'interno della Yugoslavia. Dopo il 1995 questi sono diventati due stati separati, ancora di più dopo l'ingresso della Croazia nell'Unione Europea. Ma più che in queste sottili discettazioni storico-geografiche per ora sono impegnato a capire come superare lo sbarramento visto che l'idea di rifarmi la via crucis dello sterrato non mi sfiora neppure. Faccio intanto la conoscenza del filo spinato moderno che al posto dei classici spunzoni acuminati presenta piccoli trapezi rovesciati e molto appuntiti che ti tagliano la pelle come fosse mozzarella appena li sfiori. Impossibile scalarli perciò decido di staccare le borse e di gettarle letteralmente oltre all'ostacolo seguite dalla mia fida Giant, il cuore per questa volta lo tengo con me...naturalmente il tutto si impiglia nel filo spinato e comunque non avendo uno specifico allenamento in salto in alto sono costretto a tentare la sorte appendendomi all'esterno del ponte sul parapetto metallico. Operazione evidentemente“facilitata “dalle rigide scarpette da ciclismo che indosso...proseguo un paio di metri quando guardo in basso dove scorre il mistico fiume e penso rabbrividendo a cosa potrebbe succedere se passasse una macchina della polizia: in fin dei conti sto uscendo illegalmente dalla Comunità Europea per entrare ancora più illegalmente in uno stato che è stato notoriamente disseminato di mine come fossero coriandoli a Carnevale. Per fortuna la zona è tranquilla, e chi è il pazzo che sceglierebbe un passaggio tanto rischioso e di giorno per di più, per entrare in Bosnia? Raccatto velocemente borse e bici disincagliandole dal filo spinato a costo di una decina di tagli e della perdita di un paio di lenti notture ma riesco comunque a guadagnare, facendo finta di niente, un bar che sorge proprio alla fine del ponte. Esce un ragazzo che evidentemente ha seguito tutta la scena dalle vetrate con alcuni amici...non che si siano sbattuti particolarmente ma almeno mi offrono da bere e mi rassicurano che da lì a Bihac è tutta in discesa. Io filo via temendo l'arrivo degli sbirri e mi cago sotto quando dopo poche curve incrocio proprio una macchina della polizia bosniaca: ci sarà stato qualche infame che li ha chiamati? Oppure sono lì per caso? La mia unica reazione ciclisticamente parlando è quella di raddoppiare gli sforzi e provare a svignarmela ben consapevole che in caso di controllo non posso fare altro che raccontare la verità portandone le conseguenze. Invece non succede nulla, nessuno mi blocca e dopo un'oretta pedalata ad andatura ”a là Cancellara” entro trionfalmente a Bihac. Ce l'ho fatta ma sono ancora così sconvolto dalla brutta avventura appena passata per gioire, intanto almeno trovo un altro ciclista che parla un po' di inglese e mi guida al punto di iscrizione. Vive in Svezia ma è di origine Bosnica, così come moltissimi partecipanti alla Maraton che risultano essere emigrati, spesso viventi in stati molto lontani e che magari sono tornati proprio per partecipare alla pedalata. Il fatto è che Srebrenica è un po' la pietra miliare dello stato Bosniaco e la ricorrenza dell'11 luglio, anniversario del “massacro”, è evidentemente la festa/lutto nazionale più importante.
Arrivo all'hotel dove avviene l'iscrizione e conosco di persona l'organizzatore, Lipa il quale mi rifila subito due patacche: una maglietta ricordo di taglia S, mentre avevo chiesto una XL ma lo scoprirò troppo tardi,e come accompagnatore lo”sloveno” Muja che mi accompagna nella pensione dove hanno la base gli sloveni. Qui hanno ancora una camera libera nel sottotetto per 10€ ma dopo quello che ho passato oggi quando mi vedevo già a languire ai ceppi in qualche prigione locale sono ultra-felice. C'è anche il wi-fi e dopo una lunga doccia esco alla cerca di cibo perchè più che sabbia e rabbia oggi non ho mangiato un granchè.
Scopro così che Bihac è una città molto bella, bagnata dalle chiare acque le fiume Una tra mille cascatelle
 e che per alcuni secoli fu oggetto di pellegrinaggi ad opera di fedeli allo gnosticismo in quanto si credeva che qui fosse nascosto nientepopodimenochè il Santo Graal. Sicuramente vi sono tracce di un passato cristiano con le chiese trasformate in moschee dopo la conquista turca, ma l'atmosfera è decisamente positiva e mi raccontano che anche durante la guerra non ci sono state le nefandezze di altri posti. Riscuoto al bancomat un congruo gruzzolo di BAM (i marchi compensati che sono la surreale valuta locale...come facciano a compensare una moneta che non esiste più da 15 anni resta un mistero...).
Il fiume Una è veramente molto pittoresco, il centro storico bello e movimentato e trovo anche un posto dome mi preparano una discreta pizza...mi permetto anche un bel birrone e, come spesso accade, gli spaventi e le fatiche della giornata sembrano già essere svaniti, certamente DOPO è tutto più facile ma quando ci sei dentro NO!
Mi sveglio un po' intontito anche perchè un localino qui vicino ci ha dato dentro di hard rock anni 80 fino a tarda ora...purtroppo ora la musica è cambiata e sono tuoni che annunciano un pioggia battente che non tarda a scorrere. Faccio la conoscenza del resto della banda slovena che mi ha adottato e mi accompagnerà in questi giorni.
 Hanno anche un furgone e una macchina di supporto perciò gli rifilo gentilmente le mie pesanti borse e già il pensiero di non dovermi trascinare tutti quei Kg su per le montagne bosniache mi fa dimenticare la pioggia. La banda slovena è composta prevalentemente da bosniaci che vi sono andati a lavorare ma ci sono anche alcuni sloveni DOC, ciclisticamente lasciano molto a desiderare ma mi accorgerò in seguito che non sono gli unici, anzi. Questa ciclo Maratona Bihac- Srebrenica ha infatti più finalità di testimonianza/socializzazione che sportive anche se, come vedremo, l'anima agonistica non è del tutto sopita.
Ma torniamo alla piazza principale dove in magna pompa sta prendendo il via la nostra pedalata: capisco subito che è una cosa dannatamente ufficiale con tanto di inno nazionale e saluto del sindaco. Però faccio anche conoscenza con un piccolo gruppo di ciclisti internazionali: Cyril, un olandese che vive e lavora a Sarajevo, e Alex giornalista americano free-lance più una ragazza di Sarajevo loro amica e un tipo belga. Continua a piovere quando finalmente la carovana, siamo ora 220 ciclisti più svariati mezzi di supporto, muove le ancore tra gli applausi della popolazione: è emozionante vedere anche le finestre degli uffici aprirsi e la gente che ci saluta veramente di cuore. Anche perchè loro rimangono lì al calduccio noi invece abbiamo 150km da sgrumarci sotto l'acqua il che è ben differente.

Imparo subito una parola cui avrei preferito restare all'oscuro: Kisa (si pronuncia kiscia) e vuol dire pioggia.
L'andatura è veramente rilassata e pedaliamo in doppia fila sui 20 all'ora, d'altronde quasi tutti sono in MTB e denotano più entusiasmo che preparazione fisica. In queste condizioni mi rendo conto che anche fare “solo” 150 km al giorno per loro sia già un'impresa. Io pedalo a fianco del mio accompagnatore Muja che già la sera prima mi ha illuminato sullo status religioso bosniaco...certo sono musulmani, racconta, ma europei non arabi perciò bevono birra e del ramadan gli interessa molto relativamente. Nel gruppo pare ci siano anche dei praticanti che di dice rispettino anche la prescrizione di non bere nulla durante il giorno ma non credo che nelle giornate più calde abbiano tenuto a botta, come sempre, in ogni caso Allah sa di più...comunque Muja sentenzia, riguardo alla pioggia battente, che ciò che inizia male spesso finisce bene ed in effetti la sua profezia funzionerà abbastanza per me, un po' per lui perche al ristoro viene colpito da una violenta diarrea che lo costringerà a salire in macchina dalla quale scenderà, guarda caso, solo in vista di Srebrenica. Il sospetto della malattia diplomatica è molto forte...ma intanto arriviamo alla prima salita e lì viene lasciato libero sfogo alle velleità agonistiche dei partecipanti. Alcuni facinorosi, tra i quali svettano i membri di una squadra di Bihac che di solito aiutano a mantenere l'ordine nel gruppo al cui comando viaggia l'attivissimo Lipa, al segnale del “rompete le righe”partono come molle e tirano come dei dannati fino in cima alla salita dove è posta la prima sosta. Inizialmente mi illudo che ciò sia dovuto alla pioggia ma invece il buon Cyril, che l'ha già fatta l'anno scorso, mi spiega che funziona così e ogni 20-25 km ci si ferma per una quarantina di minuti più una pausa di un'ora e mezza per il pranzo. La cosa mi sembra assurda anche perchè non c'è niente di peggio che starsene fermi mezz'ora sotto l'acqua e poi ripartire ma siamo in Bosnia e le cose vanno così. Vedo però che la disciplina non è così ferrea perciò dopo un po' me ne infischio degli ordini e parto per i fatti miei. Frattanto smette di piovere e mi ritrovo in un bel paesaggio molto simile alla Scozia.
 Riparo velocemente una foratura e dopo pochi km arriviamo ad una seconda pausa, questa volta di un'oretta. Da un camioncino vengono distribuite dall'organizazione barrette di cioccolato e bibite gassate ma sarà un”una tantum” d'altronde per 20€ che includono la maglietta, i tre pranzi con relativi pernottamenti, anche se in locali di fortuna, non si puo pretendere troppo.
Anche questa volta decido di ripartire da solo ma mi rendo conto che è un azzardo anche perchè è vero che non ci sono molte deviazioni ma non so letteralmente dove andare, comunque riesco ad arrivare alla zona pranzo piazzata amenamente sulla riva di un fiume. Il pranzo consiste in una manciata di verze, proprio così le solerti vivandiere locali ancorchè munite di guanti da cucina usano proprie le gentili manine sprezzando le volgari e borghesi posate, seguita da una sorta di pasta scotta a livelli inverosimili come avevo mangiato solo al Cairo anni fa...deve essere proprio una tendenza araba. C'era anche della carnazza che snobbo tra lo stupore generale...i soliti fighetti italiani, penseranno.
Metto ad asciugare tutti i miei stracci e mi godo se non il pranzo almeno la bellezza del loco. 
Bella e tormentata questa Bosnia, penso, sgranocchiando una fetta enorme di anguria che funge da dessert. Ripartiamo dopo quasi due ore ma oramai ho capito l'antifona e mi metto a ruota della banda prendendomela comoda anche se ad ogni salita si ripete la sparata generale per il gran premio della montagna...poi sosta di 30-40 minuti e via per altri 20/25 km. Rimanendo in gruppo ho anche l'occasione di osservare meglio i partecipanti alla Maraton....Molti esternano platealmente con bandiere e vessilli il carattere nazionalistico della pedalata che onestamente ha più un taglio filo-Bosniaco che pacifista.

A sera raggiungiamo Jaice che fu l'antica capitale del regno ed è dominata dalle rovine del castello reale.
 Nell'albergo vicino all'arrivo mi chiedono una cifra esorbitante perciò mi accuccio nella palestra messa a disposizione per noi ciclisti, alla sera ceno con la brigata internazionale conversando piacevolmente con Cyril che è anche lui vegetariano e molto simpatico. Nel frattempo stanno giocando la semifinale dei mondiali tra Brasile e Germania, il famoso 7-1, e immaginate il tripudio che accompagna la mitragliata teutonica...non so come ma qui tifano tutti Deutschland...
La mattina dopo si riparte sotto alla moschea e ad un bel cielo blu, mangio una splendida Baklava, più che un dolce una vera bomba calorica, e imparo due nuove parole “nema kiše ” oggi non piove, inshallah, e infatti così sarà. 
La giornata scorre abbastanza piacevole anche se l'andatura è sempre schizofrenica alternando momenti di calma, rotti solo ogni tanto dal tentativo di Lipa e dei suoi sgherri di mantenere serrate le fila urlando “po dva”(in fila per due) oppure “po jedan” (in fila unica) comandi che vengono regolarmente disattesi dopo poche centinaia di metri. Bisogna dire che siamo costantemente scortati da macchie e/o moto della polizia e nel pomeriggio quando ci fanno addirittura passare per l'autostrada capisco che il buon Lipa e la sua organizzazione hanno amici molto in alto. Nel tratto autostradale passiamo anche davanti alla presunta piramide di Visoko. 
Me ne aveva parlato un amico alcuni fa e mi ero interessato alle teorie di chi vi vedeva tracce di un'antica civiltà che l'avrebbe costruita addirittura 16.000 anni fa. Vedo però che questa confermazione è abbastanza comune in zona, in effetti mi dicono che ce ne sarebbero almeno sei, e ne parlo con un ragazzo di Sarajevo che però è molto perplesso sulla storia. Vero che scavando sono state scoperte tracce di cunicoli sotterrranei e che in zona sono state trovate strane pietre sferiche alte due-tre metri. Insomma qualcosa di strano c'è ma onestamente anche un dietrologo come me ha ben poche prove per avvalorare le tesi piramidali...sembra che gli unici certi della positività della teoria siano albergatori e ristoratori della zona che, al pari dei loro colleghi sul Loch Ness ad esempio, hanno trovato la vera gallina dalle uova d'oro, ma a forma piramidale si capisce.

L'arrivo a Sarajevo non ha molto di romantico visto che la tappa termina in periferia in una caserma dell'esercito Bosniaco. Vengono distribuiti ad ognuno un tris di burek che il buon Cyril ha fatto portare e mi mangio quello al formaggio e agli spinaci. Lui gestisce un'agenzia turistica sostenibile ed evidentemente conosce bene la città; devo comunque dire che i burek, una specie di torta salata di pasta sfoglia con ricotta o carne, sono un buon piatto nazionale ed essendo l'unico pasto vegetariano disponibile ovunque mi hanno salvato la vita un po' ovunque in questo viaggio.
Provo ad andare a trovare una branda in caserma ma proprio non ce la faccio, mi risale il ricordo della mia esperienza giovanile nei parà e ...vaffanculo le caserme, mi dico, piuttosto dormo sotto a un ponte. Oltre a tutto qui c'è anche il coprifuoco e alle 22 bisogna essere tutti dentro. Così ripesco Lipa che mi trova per pochi euro una camera nell'hotel dove sono alloggiati anche gli sloveni, trascino lì le mie borse e prendo possesso di una lussuosa camera singola presso l'hotel BM posto un po' in periferia ma ben servito da un tram che porta direttamente nel centro storico di Bascarsija . E' tanto che sento decantare la storia ma anche la vivacità di questa città simbolo dove sono stati appena celebrati, mi dicono un po' in sordina, i 100 anni dall'assassinio dell'arciduca Ferdinando. Questo attentato diede il via alla prima guerra mondiale...se avete un po' di tempo leggetevi come andarono le cose quel 28 giugno perchè è singolare la casualità che ha cambiato la storia del mondo. Sarajevo subì anche un lungo assedio durante l'ultima guerra civile ma direi che qui non se ne vedono le tracce, anzi. La vita notturna e la bellezza delle giovani locali sono da località turistica internazionale e fanno da stridente contrasto con la folla di fedeli che affollano le moschee per le preghiere del Ramadan. 
Per aumentare la confusione Olanda ed Argentina stanno giocando la seconda semifinale ed il centro è letteralmente tappezato da tv al plasma, in una breve via ne ho contati 13 di fila. Mi spiegheranno Cyril e soci che dopo la guearra anche qui sono arrivati molti soldi e che le ambasciate occupano molte persone, ben pagate, e lo stile di vita è notevolmente più ricco che altrove. Mi colpisce la palese ostentazione di bandiere turche, che ritroverò anche in seguito, e che la dice lunga sulle simpatie politiche del governo. Ammetto di essere un po' frastornato, dopo giorni così spartani, a trovarmi in mezzo a questo sfavillante struscio di bellisime ragazze e di localini trendy con salottini studiatamente “arabeggianti” con tanto di eccentriche waterpipe che tra l'altro qui non si erano mai viste. Dopo un'oretta mi sembra un po' tutto finto e decido rientare in hotel anche perchè domani ci aspetta la tappa più dura non solo per il chilometraggio e le tante montagne ma anche per l'arrivo a Srebrenica che si trova in una zona ancora calda della Bosnia. In hotel mi assopisco guardando la triste, per gli olandesi, pantomima dei rigori che mi sembra però una cosa totalmente estranea da questo mondo reale.
Molto più reale è la partenza per l'ultima tappa dalla caserma di Sarajevo: ho già scritto come questa Maraton appaia fortemente supportata dal governo Bosniaco e questa appartenenza risulta ancora più palese oggi nell'attraversamento di questa sorta di Frankenstein di culture che è questa “nazione”. Mi consigliano di guardare i cartelli stradali se la scritta è in cirillico vuol dire che siamo nella parte Serba. Ma dopo un po' capisco che non c'è bisogno dei cartelli: basta vedere la reazione della gente. Nelle zone musulmane ci applaudono e addirittura lanciano fiori al nostro passaggio, nelle zone serbe ci ignorano, qualche ragazzo ci sorpassa facendo il segno con le tre dita tipico dei cetnici. Inizio poi a notare che in molti paesi ci sono induividui barbuti che spaccano platealmente la legna al nostro passaggio...insomma l'atmosfera è tutto meno che amichevole ma mi dicono che anni fa era peggio, sputi per terra, lancio di sassi, totale deserto nei paesi. Capisco che qui la guerra in un certo senso non è mai fina e che certe ferite non si potranno mai rimarginare. D'altronde questi territori sono stati per centinaia d'anni le zone di confine e conflitto tra impero austro-ungarico e ottomano con inserimenti filo-russi: difficile pensare che le tante crudeltà stratificate nella storia possano livellarsi velocemente.
La carovana procede comunque col solito ritmo schizofrenico ma oggi voglio stare davanti perchè adesso che ho capito come funziona il gioco oserei fare qualche scattino anche io. Faccio così conoscenza con l'ambasciatore francese a Sarajevo che è un appassionato ciclista e partecipa alla manifestazione con intenti umanitari, s'intende, ma non disprezzando anche quelli sportivi. 
Quando la Skoda dell'organizzazione accelera lasciando libero sfogo alle velleità corsarole è infatti uno dei primi a darsi da fare con ottimi risultati. Scherzo con lui su quello che starà invece facendo a quell'ora il broccoluto ambasciatore italiano che immagino stia rimpinzandosi di cappuccino e croissant in qualche ufficio di Sarajevo. In verità quella che frequenterò maggiormente della famiglia francese è la moglie, non per le ragioni che qualche malpensante avrà immaginato ma per il fatto che in salita abbiamo quasi lo stesso passo e ci facciamo compagnia, in verità io sto davanti e lei mi segue tanto che mi merito l'appellativo di “mon ami” forse anche per i pantalancini Free Tibet che esibisco . Mi dicono sia stata un'agonista da giovane e abbia anche fatto parte della nazionale e non fatico a crederlo perchè anche adesso che è oltre la quarantina sale con me sui 25 all'ora, certo non è lo Stelvio ma comunque ci vuole un po' di gamba...Nell'ultima salita del tour però mi tolgo la soddisfazione di staccare sia lei che il marito...ah il demone della granfondao non è mai sopito.
Le bici dei partecipanti sono abbastanza alla buona per cui colpiscono alcuni telai decisamente corsaioli sui quali campeggiano scritte come la seguente che non fanno che confermare i miei dubbi sulla loro provenienza..
 
Ritorno alla normalità notando questo artigianale spiedo spinto dalle pale di un mulino ad acqua 
e dopo un po' veniamo scossi dall'arrivo di una carovana simile alla nostra ma composta da motociclisti con i quali condivideremo la penultima sosta in un pandemonio indefinibile.
 E' successo che a poco a poco anche le nostre fila si siano rinforzate con i partecipanti di altre manifestazioni analoghe alla nostra. Noto che alcuni motociclisti hanno le targhe coperte da scotch o plastica e mi spiegano che è una precauzione per evitare di essere riconosciuti al rientro a casa, evidentemente abitano in territori “ostili” della Srpska ovvero la parte serba della Bosnia. L'ultima sosta è a Bratunac, ormai ad una ventina km dall'arrivo, davanti al solito gruppo di case bruciate, 
alle quali onestamente si fa l'abitudine come a tutto, dove però sorge anche una chiesa ortodossa. Vedo che molte persone vanno in quella direzione e mi spiegano che la chiesa è stata costruita abusivamente nel giardino di una signora che ha fatto causa agli ordodossi ed è diventato un caso nazionale.

Piano piano risaliamo in bici e l'atmosfera cambia, da una parte la gioia per l'arrivo dopo oltre 450 km in tre giorni che soprattutto per chi li ha fatti in MTB senza molto allenamento sono comunque un bel traguardo e l'altra è la solennità del luogo. Quando arriviamo tra due ali di folla che applaude, la televisione e le autorità 
con stretta di mano personale da parte di un alto politico locale è veramente emozionante, d'altronde il cimitero è monumentale ed è costruito davanti ad una fabbrica bruciata dove sarebbe avvenuto il massacro.
 La cerimonia finale è una specie di saluto/preghiera di fronte ad un lungo telone di plastica che generalmente copre delle bare, almeno così si vede in televisione . Io mi apparto e non partecipo anche perchè su tutta questa storia ho sviluppato una mia teoria già prima della partenza che si è consolidata durante questa biciclettata. 
 
Tutto è iniziato nel corso dei preparativi quando ho contattato alcuni amici di Warmshowers (l'oganizzazione di mutua assistenza tra ciclisti erranti) e una ragazza di Brcko quando le ho scritto che sarei stato sulla strada da Srebrenica verso l'Ungheria se l'è presa col termine “massacro” invitandomi a vedere un film Norvegese ,Srebrenica - Izdani grad (A town betrayed, e di informarmi su cosa era davvero successo a Srebrenica. Certo nei suoi panni di Serba nata in Croazia alla quale durante la guerra era stata bruciata la casa contringendola ad andarsene con tutta la famiglia, mi sarei incazzato anche io e potevo capire la sua rabbia. Ma mettere in discussione un fatto così famoso...guardai così il film che seppur dichiaratamente filo-serbo tuttavia mi insinuò alcuni dubbi che mi proposi di chiarire. Intendiamoci: ho partecipato a questa Maraton il cui motto è “Per non dimenticare e perchè non si ripeta mai più” proprio perchè, come spiegai durante l'intervista ad Alex, avevo l'impressione che di questa guerra civile e dei misfatti compiuti dai paesi occidentali e dall'ONU si parlasse sempre meno, tanto che avevo intenzione di organizzare per l'anno 2015 una biciclettata da Modena a Srebrenica in occasione del ventennale del massacro. Insomma ero come tutti convinto della versione del massacro serbo e della rimozione compiacente da parte dei mass media occidentali. Comunque decisi di andare in fondo alla storia e lessi un libro di Alexander Dorin che raccontava tutta un'altra storia. Foto alla mano testimoniava le 3200 uccisioni causate dalle truppe bosniache comandate dal famigerato Naser Oric in seguito arrestato e condannato a due anni di carcere (pena considerata troppo leggera dal giudice ONU Carla del Ponte) e soprattutto restituiva tutt'altra versione del “massacro”. Si sostiene che Clinton avesse chiesto all'allora presidente bosniaco Alija Izetbegović una “smoking gun” per bombardare Belgrado. Dopo questi tre anni di violenze le truppe serbe entrarono a Srebrenica senza colpo ferire, ma le milizie bosniache, forti di 7000 uomini, si diedero alla macchia invece di deporre le armi come era stato pattuito. I civili fuggirono mentre i militari cercarono di impedire l'avanzata serba verso Tuzla e in questi scontri 2000 di loro morirono ... questo è , secondo i serbi, quello che successedavvero. I bosniaci e i mass media internazionali gonfiarono la notizia e un mese dopo iniziarono i bombardamenti su Belgrado. In seguito vennero portate verso Potocari molte vittime di scontri avvenuti anche a 50km e che non centravano nulla con Srebrenica. Ecco adesso ho raccontato l'altra parte della medaglia che mi faceva vedere tutta questa cerimonia del nostro arrivo al mausolea con un notevole distacco. Lo stesso Alex quando dissi che la mattina dopo sarei ripartito senza attendere le cerimonie ufficiali perchè l'atmosfera era troppo triste risposse .”It's not only sad, it's weird” ...il definire “strana, magica, bizzarra, soprannaturale” l'atmosfera di questo posto rende abbastanza l'idea. D'altronde sembra che siano già stati spesi dalla comunità internazionale 4 miliardi , sì 4 miliardi di €, per la ricostruzione di Srebrenica dei quali uno solo per il mausoleo che in effetti cozza decisamente con tutto il contesto. Dove siano finiti tutti questi soldi non è ben chiaro, certo molte case sono state riparate, ma la sfilata di SUV e macchine di lusso che incontrerò andandomene da Srebrenica qualcosa me lo suggerisce.
Intanto dopo la cerimonia al mausoleo arriviamo alla scuola di Potocari dove dovremmo dormire. La situazione è di caos totale perchè non siamo convenuti qui solo noi ciclisti ma anche svariate marce della pace e molti altri per le cerimonie di domani. Ci piazziamo in un'aula e per me che faccio il maestro è una sensazione ancora più weird perchè ritrovo gli stessi cartelloni che facciamo noi in Italia ma scritti in cirillico. Unica differenza è che invece di avere le tabelline per la moltiplicazione qui le fanno della divisione...boh, magari proverò anch'io, magari funziona!

La banda della pedalata si è nel frattempo dissolta e molti sono saliti in macchina direttamente per rientrare al paesello. Restiamo noi della brigata internazionale e qualche altro sfigato che probabilmente non aveva posti in macchina nè in paradiso e dovrà tornarsene mestamente a casa in bici. Usciamo per cercare di mangiare qualcosa ma per me è un brutto posto visto che cuociono animali morti ovunque e l'odore di carne alla brace è totale. Trovo l'ennesimo burek e annego la mia gioia nella birra che fortunatamente non manca. Piove di brutto e faccio la conoscenza con alcuni partecipanti alla marcia della pace e soprattutto con alcuni ciclisti serbi che hanno provato a partecipare alla nostra Maraton partendo da Belgrado ma sono stati fermati per strada dai nazionalisti con la polizia che li ha invitati a rientrare a casa perchè “la strada non era sicura”. Per fortuna, ecco dove sono finiti tutti i soldi..., a Potocari ci sono hotspot wi-fi ovunque e posso scrivere e leggere notizie nonchè studiare un percorso alternativo a quello del GPS con il quale non ho ancora fatto la pace dopo l'avventura della frontiera croata. A proposito ricordo che sono sempre qui da abusivo, qualcuno mi parla di visti, e la cosa mi preoccupa. Avviso Alexander che arriverò un giorno prima a Sabac in Serbia e sempre sotto la pioggia mi rifugio a cuccia per provare a dormire qualche ora.
Alle prime luci sono in piedi almeno riesco a entrare in bagno, le condizioni di vita qui sono decisamente “tough” rudi come le definisce Cyril che intanto, come gli altri della brigata, carica bici e borse su un pullmino che li riporterà comodamente a Sarajevo mentre io dovrò smazzarmela in bici, per fortuna ha smesso di piovere. Ricompatto tutti i miei averi nelle borse e riprendo il mio vagabondare solitario dopo tre giorni di baldoria bosniaca.Nella scuola ci sono già svariate persone, non so se sono maestre o bidelle o altro, che non vedono l'ora che noi ci si levi dalle palle perciò restare un'altra notte sarebbe stato comunque impossibile, ripasso davanti al mausoleo dove stanno affluendo un sacco di persone, infatti,come ho già scritto, questa è La festa nazionale della Bosnia. Rifaccio a ritroso la strada percorsa ieri e noto che c'è un poliziotto ogni 500metri visto che in senso inverso al mio stanno arrivando tutti i boss da Sarajevo naturalmente a velocità sostenuta e sgommando come usano fare le persone importanti/arroganti. Sono ben felice quindi quanto all'altezza di Bratunac gito a destra verso la Drina e mi lascio questo triste baraccone alle spalle.
La Drina è un gran fiume che a un certo punto diventa un lago
 e mi porta alla città di Zvornik dove c'è la temuta frontiera. Mi siedo in un bar del centro perchè devo fare ancora colazione e spendere gli ultimi BAM quando vengo avvicinato da un tipo losco che parla italiano e si presenta come un emigrato nel Canton Ticino. Ho l'impressione che mezza Bosnia lavori all'estero. Lui in verità è Serbo e mi aiuta comunque a cambiare 20€ in dinari poi attacca una pezza su quanto si vivesse meglio quando la Yugoslavia era un'unica nazione e non si dovevano mostrare i documenti per attraversare il vicino ponte sulla Drina. Noto solo allora che dietro a noi c'è in effetti un ponte presidiato da una parte e dall'altra dalla polizia. Mi rispiega la storia della truffa di Srebrenica e di come gli americani abbiano voluto la fine della Yugoslavia. Poi prendo il coraggio a due mani e come niente fosse mi avvio verso la frontiera dove in verità non mi cagano neppure di striscio, solo il pulotto Serbo scrive sul computer i miei dati che saranno verificati effettivamente in uscita. Per quel che interessa di me ai bosniaci potrei anche esser entrato abusivamente scavalcando il filo spinato...
Una volta in Serbia verifico che la strada è più o meno sgarrupata come le altre da queste parti e mi avvio verso nord. Mi fermo a comprare qualcosa e mi rendo conto che i prezzi sono ancora più bassi che in Bosnia. La strada alternativa che ho preso funziona bene ed è pianeggiante, c'è poco traffico e mi sento come uno che si sveglia da un brutto sogno... e sì che quando pianificavo questo viaggio temevo che questa sarebbe stata una delle tappe peggiori, invece tutto fila liscio e nel primo pomeriggio sono nel negozio di bici del mio primo contatto Warmshowers. Alexander però è a casa e il suo dipendente ha ordine di offrirmi una birra e di farmi compagnia visto che parla un po' di inglese. Dopo un'oretta arriva anche il boss che è un personaggio notevole, è innamorato della bici ed ha fatto vari giri in Europa e in Asia. Ha ereditato la passione ed il lavoro dalla madre che aveva appunto un negozio nella zona industriale di Sabac dove viene scattata questa foto.
 Durante il comunismo mi racconta che tutti andavano al lavoro in bici perciò il negozietto di famiglia andava a gonfie vele. Poi la crisi aveva morso anche lì, le fabbriche avevano chiuso e dopo la guerra la situazione si era fatta sempre più grigia.
Alex è una persona molto intelligente ed obiettiva, cosa decisamente rara nei balcani come ho già scritto, anche grazie al fatto che la moglie è musulmana-bosniaca e lo zio cattolico-croato. Sulla storia di Srebrenica è molto disincantato: dice che da quelle parti sono 500 anni che continuano a cambiare padrone ogni 50 anni e ad ogni cambio costuma che i nuovi vincitori massacrino gli altri. Conferma che gli americani hanno strumentalizzato l'accaduto per completare la spartizione di uno statopoliticamente indipendente e perciò scomodo. Non dimentichiamo che nel dopoguerra la Yugo era stata tra le nazioni trainanti con Cuba, l'Egitto, India e la Libia e altri dei “paesi non allineati” che abbastanza comprensibilmente costituivano un gruppo autonomo poco funzionale alle mire imperialiste americane e di rimessa anche russe. Risulta plausibile tutta la storia che viene illustrata dal film canadese “The Weight Of Chains” e che viene sostanziata da anziano pensionato che dà una mano a Alex per campare visto che ha una pensione di 110 €. Alex mi racconta che la sua facoltà dove studiava a Belgrado nel 1995 venne chiusa proprio a causa dei bombardamenti alleati e mi provoca dicendo: guarda che anche voi in Italia dopo un po' di embargo e fame vera finireste col prendere le armi in mano...basta distribuire pisole e fucili, alcool, droghe, notizie tendenziose e fare qualche uccisione mirata ed il fuoco si attizza alla svelta. Poi si lamenta di come l'Albania, forte delle rimesse dei mafiosi che vivono in Svizzera, si stia comprando il Kosovo. A quel punto mi dà una sistemata alla bici, mi accompagna a fare le spese e mi porta a casa di sua madre perchè lui deve stare con suo figlio e mi lascia libero. La casa è un delirio totale e capisco dove sono le 200 bici che Alex si vanta di possedere, basta qualche foto per rendersene conto.
 Però c'è un computer con internet, una cucina lercia ma piena di cibi nonchè un letto e un bagno a mia disposizione ovviamente dopo averle liberate da telai, copertoni, ruote ecc. Per uno che da una settimana non vede che bici non è forse il massimo ma nella vita bisogna accontentarsi, d'altronde a caval donato...Oltre a ciò la casa è assediata dai gattini famelici che Alex mi ha ordinato di non far entrare e infatti appena apro un po' la finestra la madre entra e faccio una notevole fatica in mezzo a quel casino a ritrovarla e a convincerla ad uscire con l'aiuto di una scatola di crocchette.
Al risveglio mi colaziono e mentre preparo le borse arriva Alex che si è offerto di accompagnarmi per qualche km non prima di aver visitato il suo secondo negozio per la famosa foto ricordo. La strada è la “Magistrala” ovvero la statale che ho percorso ieri e mi spiega come mai ci siano così pochi ciclisti in Serbia. Le strade secondarie sono piene di buche e tortuose e quelle principali infestate da TIR e guidatori non proprio rispettosi. Ne ho ripetutamente la prova: gli atteggiamenti più pericolosi, che nascono da un sostanziale “chissenefrega del ciclista” sono due. Il primo è che in fase di sorpasso, di solito a velocità sostenute, la presenza di un ciclista che procede in senso inverse non viene interpretata come buona ragione per non compiere il sorpasso stesso e ciò vale purtroppo anche per i numerosi TIR. Il che comporta che almeno tre o quattro volte ho la ributtante sensazione di essere spazzato da un bestione che mi sorpassa invece a piena velocità ad appena un metro. Ogni volta si spera che il driver non abbia ecceduto in birre o grappini locali. La seconda abitudine, corollario della prima, è che anche quando ti sorpassano sul tuo stesso senso di marcia sia TIR che macchine non si fanno molti problemi sulla tua esistenza ovvero se dall'altra parte non arriva nessuno lasciano anche elegantemente due tre metri d'agio ma se sfortunatamente ciò non è possibile stringono impietosamente e se questo vedersi passare un bestione a 70cm. ti da' fastidio, beh caro, spostati tu che io di certo non mi faccio niente... Nel frattempo entro in Vojvodina che è la zona nord della Serbia, attraverso per la prima volta il Danubio a Novi Sad,
 ovvero Нови Сад , seconda città dello stato, e la lascio molto volentieri perchè è veramente brutta e moderna.
Verso mezzogiorno inizia a fare molto caldo quando arrivo a questo bizzarro ristorante che celebra i fasti dell'antica Yugoslavia con tanto di altarini dedicati al buon vecchi Jozip Broz Tito. 
Il proprietario mi racconta che il locale sorge proprio al centro dell'ex nazione slava e qui la nostalgia è così forte che ne hanno fatto una “raison d'être”, tra l'altro in giro ho visto ancora alcune vecchie Fiat 600 restaurate come simbolo del bel tempo passato.
 Mi tocca quasi recitare la parte del nostalgico anche se mio zio Sava, negli anni di Tito, è morto dopo essersi fatti 13 anni di galera di cui 6 ai lavori forzati solo perchè era un artista idealista e dopo la guerra chiedeva che lo stato divenisse veramente socialista e non una dittatura. Probabilmente avrei fatto la stessa fine anch'io.

Fatto sta che tra un sorpasso azzardato e una buca e con l'ottima frutta venduta a prezzi ridicoli per strada arrivo verso sera al confine coll'Ungheria. Faccio veramente fatica a spendere gli ultimi dinari e mi avvios enza troppa gioia a rientrare nella “civiltà”europea. Lo sbirro ungherese in verità e per la prima volta in vita mia proclama che qui ci vuole un bel controllo ai miei bagagli per verificare che non stia importando chissà quale derrata in Europa. Arriva il giovane doganiere al quale basta un'occhiata per capire che non ho proprio niente di illegale e mi fa passare. Questo è bene perchè è quasi sera e devo scovare il mio contatto Warmshowers che vive in un paesino vicino alla frontiera sul quale le indicazioni sono un po' vaghe. Arrivo in un bar dove cozzo subito con la triste babele linguistica magiara: su quattro ragazzi nessuno capisce una parola di inglese nè io capisco alcunchè di un linguaggio astruso come l'ungherese.
 Per fortuna la barista conosce un po' di italiano ma quando le dico il nome della mia ospite alza gli occhi al cielo...inizio a preoccuparmi ma stanano un personaggio che sembra uscito da un fumetto dei Freak Brothers che mi accompagna in motorino fuori dalla casa della tipa. Definirla casa è però un eufemismo visto che è una stamberga circondata dal caos indescrivibile, in più non c'è traccia di vita. Chiamo un po' ed esce un tipo che appena nomino la ragazza si mette a piangere riuscendo a dire solo “Hospital”. Capisco che la cosa è seria, saluto e risalgo in bicicletta. La tizia mi scriverà qualche giorno dopo dicendo di essere in via di guarigione, non so bene da cosa, e che era uscta dall'ospedale seppur camminando come una 70enne.
In verità siamo vicino a Mohacs, cittadina popolosa ma ahimè posizionata oltre al Danubio che qui è bello largo e si può attraversare solo in traghetto. Mentre rimugino su quanto avvenuto vedo che c'è un B&B dal nome inquietante di Viator Crux ma non ho scelta e quando scopro che il proprietario parla un ottimo inglese avendo vissuto qualche anno negli USA decido che è il mio posto. Mi propone anche di preparare una cena ma quando gli dico che sono vegetariano si blocca. Appena entro in casa capisco: già gli Ungheresi sono carnivori di loro in più questo è un cacciatore sfegatato come testimoniano le decine di trofei che campeggiano in casa.
 Ma hanno l'orto e la moglie mi prepara un'ottima insalata che mi spazzolo al volo. Mi offrono anche una birra che non rifiuto perchè non vorrei che la notizia che oltre ad essere vegetariano sono anche astemio avesse risultati funesti. Gli altri ospiti della stamberga sono infatti tre gnomi che lavorano nella foresta, non si capisce bene a fare cosa, e si alzano presto alla mattina... vengono a turno al tavolo dove sto mangiando, sotto l'occhio minacciso di uno stambecco impagliato per salutarmi e squadrarmi. Il proprietario mi chiede di scrivere qualcosa sul libro degli ospiti che però è sconsolatamente vuoto. Mi spiega che hanno appena aperto l'attività e mi chiede qualche consiglio: gli spiego l'importanza di TripAdvisor ma l'atmosfera continua a essere strana: mi sembra di essere in una scena come quella del film “Tre uomini e una gamba” quando i cacciatori di "terroni" fanno la famosa domanda trabocchetto“Oh, prendi una cadrèga” insomma sarò prevenuto ma tutti questi trofei mi danno sui nervi.
La mattina dopo non faccio molta fatica a svegliarmi, come ogni buona casa di campagna la corte pullula infatti di galline e ovviamente, di galli che alle prime luci iniziano a far gara di canto. Forse farà parte del locale rituale di corteggiamento o forse la vita della foresta li avrà particolarmete dotati comunque fanno un baccano assordante. Preparo le borse e scopro che per fortuna i troll non si sono mangiati la mia Giant durante la notte e monto in sella per l'ultima tappa della mia marcia di avvicinamento: 230 km che tanto l'Ungheria è tutta piatta. A parte la falsità , come verificherò abbondantemente durante la randonnèe, di tale pregiudizio le strade qui sono abbastanza buone, la foresta è splendida e complice il fatto che siamo di domenica mattina, non c'è neppure traffico. Riattraverso il Danubio dopo Baja e appena trovo un supermercato aperto mi fiondo a far spesa. I prezzi sono notevolmente più alti ma trovo delle ciliegie ottime, mangio e bevo sulle panchine esterne al Tesco e riparto gasatissimo. La parte finale del viaggio è abbastanza tranquilla e vengo risvegliato dal torpore delle ore più calde, e che caldo!!, quando scorgo a bordo strada alcune pianta dalla foglia conosciuta. Mi fermo a controllare ed è proprio marijuana e ce n'è per km interi.
 Inizialmente penso sia qualche piantagione illegale sfuggita di mano ma poi capisco che si tratta probabilmente di cannabis sativa che viene o veniva coltivata con fini molto diversi da quelli che resero famosa la varietà indica negli anni 70...comunque fa un certo effetto vedere il bordo di una strada ungherese orlato dalla pianta sacra a Shiva manco fossimo a Manali. Scorgo alla fine delle coltivazioni questo castello eclettico,
 mi sa che l'architetto ne fumava anche lui di ganja...
Negli ultimi km costeggio il lago Balaton e naturalmente la combinazione di domenica pomeriggio e gran caldo fanno sì che il traffico sia notevole. Il GPS cerca di farmi un ultimo scherzo quando mi istrada per una mulattiera di montagna ma ormai non ci casco più e mi getto sullo stradone principale per Veszprem.
E' pur vero che lo stesso stradone, che all'inizio non recava segni di divieto ,a metà diventa praticamente un'austostrada severamente vietata alle bici. Dopo tutte quelle che ho visto in questi 8 giorni per 1400km di Balcani oramai non mi spavento più di niente e filo dritto verso il mio Magister Hotel che raggiungo verso le 17 incurante di divieti e macchine che sfrecciano ai 150.
Ce l'ho fatta e la prima parte,del mio viaggio balcanico, la più pericolosa sicuramente, è passata e sono strafelice tanto che non mi incazzo neppure quando scopro che mi hanno dato una stanza sporca anche se che mi devo trascinare tutto il mio carico su e giù per questi lunghi corridoi. Mi danno un'altra stanza questa volta con il wi-fi, ho un bagno per me, una mini cucina e mi sento un re: è proprio vero che nella vita basta imparare ad accontentarsi per poter essere felici...le stesse semplici cose quotidiane che di solito disprezzi dopo pochi giorni di ristrettettezze ti riscaldano la vita...bisogna essere poveri ogni tanto per sapere di essere ricchi.

LA RANDONNEE UNGHERESE

TOUR DE TRANSDANUBIE 2014

Il Magister hotel che è il campo base di questo brevetto è un orribile cassone stile vetero-comunista con personale, non tutto per fortuna, uguale alla struttura. Questo confermerebbe le teorie di molti architetti sulla stretta correlazione tra struttura abitative e caratteri degli abitanti. Comunque ha molte stanze ed è quindi comodo per comitive numerose...in questi giorni ad esempio è stivato di spilungoni/e quivi convenuti per un torneo internazionale di Street ball, sport del quale ignoravo beatamente l'esistenza e che ho scoperto essere una specie di pallacanestro da campetto giocata da squadre di 3. Comunque visto il motivo che mi ha portato qui a Veszprem, città peraltro famosa per essere stata campionessa europea di pallamano, mi travesto da sportivo e decido anche di seguire la finale dei mondiali che si gioca questa sera anche se non me importa una beatissima cippa di niente. Mi armo di lattina di birra e salatini di ordinanza e mi schiero in pole position in sala TV...resisto fino al 10° del secondo tempo poi la noia ha il sopravvento e mi ricordo che sono in piedi dall'alba grazie ai simpatici galli di Mohacs.
Il giorno dopo realizzo che essendo arrivato un giorno prima del previsto ho più tempo per fare il turista e rilassarmi, il che non è male, ma prima di tutto devo trovare un copertone nuovo visto che il mio anteriore ha un brutto squarcio, temo causato dal filo spinato Bosniaco. Scovo un negozietto proprio vicino all'hotel dove ovviamente nessuno parla una parola di inglese o altro idioma che non sia magiaro stretto. Riusciamo a capirci e monto un copertone un po' pesante ma viste le strade che troveremo, a posteriori, ho fatto una buona scelta. Mi inquieta un po' scoprire che non ne sanno assolutamente nulla della Randonnèe che partirà a 300mt dal loro negozio. Inizio a capire che l'organizzazione sarà un po' pioneristica.
Veszprem è una cittadina vivace e con un bel centro storico e un interessante festival jazz ospitato dalla piazza centrale. Visito il castello e vengo colpito dal sottostante parco pubblico dove c'è questo simpatico corso d'acqua con cascatella all'interno del quale le persone camminano alla ricerca di refrigerio new age.
 C'è anche una bella biblioteca autogestita e veramente in bioedilizia.
 La città mi ha subito conquistato, peccato per la lingua. Alla sera dopo essere riuscito nell'impresa di cuocermi uno spaghetto con il microonde e una pentala di plastica vado a fare un giro al concerto che ha una struttura molto socializzante di tavoli e panche ed infatti conosco alcune ragazze locali delle quali una, che a dire il vero è nata in Germania, parla un decente inglese. Anche lei dopo un po' ritira fuori il tormentone del “si stava meglio quando si stava peggio” sui tempi andati e mi rendo conto di quanto siamo tutti un po' laudator temporis acti nostalgici inguaribili. Certo la parola crisi rimbalza ovunque, anche se anche qui tutti sbevazzano allegramente vino di qualità con prezzi simili a quelli italici. Dev'essere un meccanismo psicologico, l'oggi non ci piace, il domani ci spaventa e l'ieri, quando eravamo naturalmente più giovani e belli, ci appare nei momenti migliori dimenticando forse i tanti problemi che abbiamo passato.
Comunque Ute e compagne , anche loro sono qui per turismo, domani andranno a castelli mentre io voglio andare a farmi un bagnazzo sul vicino lago Balaton ma ci diamo appuntamento sempre qui in piazza per il concerto serale. 
 
Raggiungo il Balaton la mattina dopo in pullman visto che ho giurato di non usare più la bici per tre giorni. La destinazione è la famosa Balatonfüred che ha la fama di essere una delle località più inn del “mare degli Ungheresi” forse a causa del porto pieno di yacht. La spiaggia è conseguentemente a pagamento, noblesse oblige, e non è neppure una spiaggia visto che è un prato che finisce in acqua. Il Balaton è comunque poco più di una palude molto ampia ma profonda pochi metri e dal fondo fangoso con acque conseguentemente torbide, sembra insomma di essere nell'Adriatico solo che qui l'acqua è dolce. Ma va bene così, mi piazzo sotto l'ombra di un tiglio e passo la giornata in meritato relax.
 Alla sera tornato in hotel attendo l'arrivo di Mariano, Giovanni e Mario qui convenuti per il brevetto. Andiamo a mangiare in piazza e poi mi sgancio per finire le mie disquisizioni social-musicali con Ute. In uno stand propongono una splendida ale artigianale che aiuta parecchio la comunicazione...
La mattina dopo è già vigilia di gara con tutte le conseguenze logistico-organizzative: finire di sistemare la bici, le borse e le cose per i bag drop. Nel pomeriggio sobria cerimonia per la consegna del Cartellino del brevetto e conoscenza con l'organizzatore Akos e i due ragazzi francesi che lo aiuteranno...ci danno alcune informazioni tra le quali quella triste sulla scarsa partecipazione: saremo sì e no una trentina di randagi alla partenza. Alla sera si unisce a noi anche Michael che non fa parte originariamente della squadra di Mariano.
 Viene dal Trentino ed è un buon ciclista ma è alla prima randonnèe. In più è vegano, animalista convinto e architetto e questo me lo fa diventare subito simpatico. Mi attardo in camera con lui bevendo l'ultima birra e cercando di dargli qualche consiglio logistico sugli eterni dubbi prima di un lungo brevetto: questo vestito prendo o no?Mi serviranno tre paia di calzini? E i guanti invernali? Per fortuna la borsa per i bag drop, ovvero le masserizie personali che l'organizzazione farà trovare ai controlli intorno ai km 450 e 900, è abbastanza libera da limiti di peso e si può abbondare.
Alla mattina ovviamente né io né Michael sentiamo la sveglia alle 3,45. Lui perchè alla sera si è attardato con un gattino affamato, anima sensibile..., e io semplicemente perchè la sveglia non ha suonato. E' vero che sentivo moto sgasare da un bel po' sotto alla mia camera ma pensavo fosse qualche gruppo di Bikers metallari arrivati a notte fonda...invece erano le nostre moto di scorta che ci aspettavano. Mi sveglio di istinto alle 4,30...minchia mancano 30 minuti alla partenza. Devo rinunciare alla pantagruelica colazione che mi ero preparato, raccatto i miei stracci che lascerò in hotel e le borse e salto in bici. Tra l'altro piove e mi rendo conto di non sapere bene neppure il luogo della partenza visto che confidavo appunto sulla spola dell'organizzazione: arrivo in piazza quando hanno già fatto la foto di gruppo, rimedio un paio di scatti ricordo e si parte.
 Piove incessantemente per le prime due ore e siamo assediati da un nugolo di moto che ci fotografano di continuo, evidentemente siamo in pochi e devono pur sfogarsi. Vista la pioggia e l'andatura guardinga me la prendo comoda, restiamo soli io e Michael con una moto personale che ci scorta da vicino per i primi 90km col pilota che agli incroci scende e blocca il traffico per farci passare. Mai vista un gentilezza simile. Smette di piovere e veniamo raggiunti da un gruppetto di 5/6 randagi ai quali ci accodiamo. Non faccio neppure in tempo a conoscerli che arriviamo al primo controllo dopo un centinaio di km, saggiamente piazzato fuori da una Pekara ovvero da un panettiere. Arrivano anche Mariano e gli altri e io riparto velocemente inseguendo i due tedeschi nel nostro gruppetto che avevano un bel passo. Purtroppo sbaglio strada e restiamo soli perciò mi metto a tirare aiutato da un vento favorevole. Le strade in questa zono sono buone, larghe e senza traffico e nelle foreste si sta benissimo. Michael è un vero esperto di fauna locale e mi spiega che le cicogne, animali molto amati dagli ungheresi così come i cavalli, vengono qui a riprodursi dal Congo, sempre sullo stesso nido e con la stessa compagna. Veniamo raggiunti in questo lieto conversare dagli altri 3 italiani con i quali arriviamo al secondo controllo: ormai è ora di pranzo e ci ridividiamo perchè gli altri si fiondano al ristorante mentre noi vegetarian/vegani preferiamo un fruttivendolo locale nei cui pressi scopro un'antica ma sempre valida vecchia pompa. 
 
Verso le ore centrali del giorno fa un caldo notevole tanto che molti ciclisti del nord Europa se ne torneranno a casa proprio per questa ragione. Dopo mangiato però il forte vento, come è naturale visto che abbiamo invertito la rotta, inizia a soffiarci contro e questo non è bello. L'andatura cala notevolmente e iniziamo a sperimentare la rudezza di questi lunghi falsopiani che soprattutto col vento contrario ti massacrano visto che devi sudare 78 camicie per fare i 18/19 kmh eppure ti guardi intorno e sei in pianura! se poi l'asfato è ruvido e bucherellato sono veramente cazzi (perdonate il dotto francesismo ma su questi falsopiani ho sputato l'anima...mi dicono che la Parigi Brest sia tutta così e non vedo l'ora...).
In qualche modo arriviamo al controllo di Fertőd sistemato in una strategica pizzeria all'ingresso dello splendido castello degli Esterhazy, la cosiddetta Versailles dell'Ungheria.

Mentre arriviamo salutiamo il gruppetto di 5 ciclisti che guida il brevetto che ormai sta partendo, non facciamo in tempo a ordinare che arrivano invece gli altri italiani con i quali decidiamo di proseguire visto che inizia a far buio e, si sa, di notte sarebbe sempre meglio fare gruppo. Qui Michael si distingue per un paio di numeri, prima perde le chiavi della macchina che gli saltano fuori dalla borsa ma ha il culo pazzesco di sentirle e di ritrovarle tra i binari di un passaggio a livello, poi viene fermato dalla polizia perchè avevamo fatto un'inversione di marcia non consentita. La strada era peraltro totalmente deserta ma si sa come sono fatti i poliziotti...noi ce la diamo a gambe ma lui viene pizzicato e quelli gliela vogliono far pagare per tutti. Per fortuna che un po' vuoi per l'importanza conferitaci dal cartellino con i timbri del brevetto, vuoi per il fatto di avere una compagna ungherese e quindi di sapere qualche parola in più, comunque dopo un po' lo rilasciano. Noi purtroppo abbiamo proseguito per alcuni km vittime di pastrocchio: io ho raggiunto un tedesco che pedalava solitario e gli altri che vedendo due luci pensavano fossimo noi due arcangeli hanno tirato avanti...quando ci fermiamo io telefono al socio che nel frattempo si è perso e quindi torno indietro a cercarlo mentre gli altri ripartono. La strada per fortuna è abbastanza pianeggiante fino allo strappo secco che ci porta al controllo della millenaria abbazia benedettina di Pannonhalma, la seconda più grande al mondo. Scendiamo e raggiungiamo verso le 4 il primo bag-drop a 450km dalla partenza. La scena è surreale perchè entriamo in questa catapecchia nel bosco e troviamo Akos, l'organizzatore, con una specie di Geppetto che a quell'ora sta scolpendo delle statuette di legno di cui è ripiena la stanza. Sembra una vecchia scuola in disuso ma ci sono per terra alcuni materassi con coperte e a quell'ora è tutto quello che serve. Quando ci svegliamo verso le 7 gli altri sono già partiti ma troviamo Sergej , un moscovita, che ci chiede di aggregarsi. Dice che con gli altri del gruppetto non si trovava per questioni linguistiche ma anche, credo, caratteriali visto che è abbastanza eccentrico mentre gli altri ungheresi sembrano più quadrati. Ci fermiamo in un bar a fare colazione e scopriamo che è un tipo simpatico e, scopriremo in seguito, con molte particolarità. E' nato in una cittadina russa al confine con la Cina, parla iraniano, fa il tecnico elettronico in una ditta tessile ed è un gran giramondo. E' anche un gran chiacchierone e sarà per l'inglese stentato o per le sacche di pilloline che si porta dietro ma se gli fai una domanda sulle sue luci lui inizia a raccontarti di una gara di MTB che ha fatto in Turchia o di un brevetto indiano. Comunque ci piace: se non sono matti non li vogliamo...
Dopo pochi km ritroviamo gli altri italiani che sono fermi a sistemare il portapacchi di Mariano. Ripartiamo quindi in sei e arriviamo insieme al controllo di Esztergom, bellissima città che fu un tempo la capitale ed è dominata dall'antica basilica, la più grande chiesa dell'Ungheria.

 La città è collegata con la Slovacchia da un bel ponte sul Danubio che attraversiamo per la prima volta. Percorriamo quindi una ventina di km in Slovacchia, poi costeggiamo per qualche minuto il bel Danubio blu che qui è veramente bello e complice la calda giornata viene preso d'assalto dai gitanti. Purtroppo anche il nostro gruppetto si lascia trascinare dallo spirito vacanziero ed all'ennesima fermata al ristorante io che non ho fame e vorrei invece fare della strada saluto l'allegra brigata e me ne vado da solo. La promessa è di vederci al prossimo controllo ma in effetti non ci vedremo più fino all'arrivo. Sono infatti un po' preoccupato perchè abbiamo fatto solo 150km in mezza giornata e ho visto che ci aspettano molte montagne. Infatti la strada si impenna subito per una prima salita dalle pendenze non arcigne ma lunga e soprattutto disturbata dal traffico pesante e voi sapete quanto possa essere antipatico essere superati, in salita e con i polmoni belli aperti , da un vecchi camion bulgaro col tubo di scappamento che erutta fumo nero. Siamo nell'estremo nord del paese in una bella zona di montagne e parchi che almeno ombreggiano un po' la strada. Su una di queste salite incrocio un giovane randagio ungherese che sale mestamente spingendo la bici. Mi fermo per chiedere se ha bisogno ma mi fa capire che problemi al fondoschiena cosa peraltro comune e comprensibile dopo 700km in bici. Il controllo è piazzato in un ruvido bar di montagna dove un giovane che dalla parlata in buon inglese deve provenire dalla vicina Budapest, il quale vuole sapere tutto sulle randonnèe e insiste perchè beva qualcosa con i suoi amici. Mi dispiace essere poco cordiale ma lo saluto con la scusa che stanno arrivando due ungheresi che possono spiegarglielo molto meglio di me. Siamo circa a metà del tour ma io che non ho buone luci ed ho notato con raccapriccio che le strade in questa zona sono molto peggiori che nell'est, cerco di fare più strada possibile prima del calare delle tenebre. Evento che fatalmente si compie come ogni giorno mentre sono “in the middle of nowhere” ovvero nel mezzo del nulla in una zona ondulata ad ovest di Budapest. L'attuale settima tappa è la più lunga con i suoi 158km che vorrei completare prima di cercare qualche posto dove dormire a Kecskemét.
Mi fermo in un bar disperso nella campagna dove mi guardano come un alieno. Sono gentili ma l'incomunicabilità è totale, per fortuna che con gesti e sceneggiate degne della smorfia riesco a farmi dare qualcosa per dissetarmi. Riparto ma le strade qui fanno veramente schifo: tra toppe e buche mi sembrano il vestito di Arlecchino, maschera peraltro resa celebre proprio dal mio compaesano Zan Ganassa.
Sono preoccupato per la marcia notturna ma intanto, miracolosamente, in questa landa desolata trovo una pizzeria dove stanno proprio cuocendo una pizza ai 4 formaggi, la mia preferita. Visto che da lì a tre ore sarà il mio compleanno lo interpreto come un regalo anticipato da parte del fato. Mentre finiscono di cuocerla mi preparo per la notte con luci e vestiti adatti e poi mi godo un'ottima cenetta.
Quando riparto è buio ma sono carico e conto di coprire i 120 km semipianeggianti in 4-5 ore, buche permettendo. Miracolosamente le strade si fanno discrete se non belle e comunque senza traffico...è proprio festa allora.
Verso la mezzanotte entro in un'ennesima foresta di acacie tramite un lunghissimo rettilineo ove la luce rossastra dei fari delle macchine che riflette sulla parte inferiore delle foglie rese luccicanti dall'umidità della notte crea effetti luminosi psichedeleci. Sembra di passare in una galleria scintillante con varie sfumature colorate. Visto che non assumo da tempo sostanze alteranti e che la birra Soproni non credo ne possegga mi godo lo spettacolo teatrale come un miracolo della natura. A questo punto la foresta inizia a parlarmi, sbucano vari cerbiatti che associo ad alcune persone importanti della mia vita e forse sogno ad occhi aperti. Mi ripassano velocemente davanti tutte le persone e i fatti più importanti e vivo una specie di “processo” alle mie azioni.
La cosa dura a lungo e alla fine “la voce” mi consiglia di prendermela di meno e di stare più rilassato nonchè di passare più tempo con i miei familiari. Nel frattempo vedo dei cartelli che indicano un paese dal singolare nome di “Mikebuda” che mi fa pensare ai miei recenti interessi per il buddismo. Poi la voce svanisce, la foresta tace e rivedo le luci di una città. Mi sembra strana, non c'è nessuno per strada e mi ricorda un sogno che avevo spesso da bambino ovvero di camminare a lungo in una città dove non c'era nessun altro.

Per fortuna che almeno in piazza qualche segno di vita c'è e la cosa mi ha talmente impressionato che mi sono fermato a fotografare la chiesa col suo strano campanile anche per essere certo di non aver sognato il tutto. 
Sono le 2 e lascio Nagykőrös per uno stradone ovviamente vietato alle bici ma chissenefrega, è il mio compleanno e non c'è traffico e non mi metterò certo a percorrere delle arzigogolate ciclabili adesso. Scovo il controllo posto in una vivace pizzeria strapiena di gente malgrado l'ora tarda e mi dirigo alla ricerca di uno Sport Hotel che viene consigliato dal roadbook. Lo scovo verso le quattro, entro e come portiere di notte mi ritrovo davanti, invece che il classico portiere di notte scazzato per essere stato svegliato, una bella figliola con tanto di minigonna e generosa scollatura. Mentre sono lì che contratto il prezzo, della camera s'intende, entra di soppiatto un'altra biondina che mi chiarisce definitivamente la funzione e la mission del locale alla quale comunque non sono punto interessato. Mi interessa invece avere un buon letto, una bella doccia, una buona birra e tanto mi basta.
Quando alla mattina alle 7 ricompaio in sala colazione la tipa è ancora lì e mi saluta con un significativo “why don't you sleep some more” ovvero perchè non dormi di più? La risposta sarebbe troppo lunga ma accenno brevemente al brevetto che sto facendo ma quando le dico che ho percorso 850km in bici in due giorni mi guarda con la classica espressione del “sei proprio matto”...vorrei spiegarle di più citando il classico “eppue c'è del metodo in questa follia” ma non mi va di scomodare Shakespeare a quest'ora di mattina e soprattutto di procrastinare l'inizio della splendida colazione che vedo già apparecchiata.
Riparto di ottimo umore e col vento alle spalle, la strada è pianeggiante e filo ai 30 all'ora nella campagna fino a Kalocsa dove i due simpatici volontari francesi sono accampati fuori da un'antica casa magiara e provano anche a fotografarmi.
 Da bravi randonneurs hanno preparato qualcosa da bere e mangiare, immagino pagata di tasca loro visto il minimalismo organizzativo, e se ne staranno al caldo sotto un gazebo per aspettare i disperati rimasti in corsa visto che dei 30 partiti già 10 si sono ritirati per il caldo, davvero intenso per queste zone dove i 35 gradi si raggiungono raramente. Mi dicono anche che prima di me ci sono a 2/3 ore solo i due ungheresi, gli lascio i saluti per gli amici italiani che mi seguono e riparto per il secondo bag-drop di Jánoshalma . Qui la strada è un po' monotona anche se si attraversano bei torrenti che servono almeno a raffreddare un po' l'aria visto che fa veramente molto caldo.
 Si distinguono ancora questi lunghissimi rettilinei in leggera salita apparentemente innocui ma che alla lunga ti sfiancano...guardi la strada a tuo fianco e dici: ma sono in pianura, invece fai una faticaccia a tenere i 20 all'ora...poi arrivi finalmente in cima e invece della meritata discesa la strada ricomincia a risalire tanto poco che il navigatore neppure percepisce il dislivello ma le gambe sì.

Il bag-drop è sistemato in un vecchio collegio agrario con ambientazione, e servizi igienici, decisamente retrò.
 Il bidello mi fa percorrere lunghissimi corridoi per arrivare ad una doccia bollente, lo ringrazio ma dopo aver pedalato sotto al sole con 32° uno vorrebbe semmai una secchiata gelata. Akos mi da alcuni buoni consigli per la parte finale visto che mancano meno di 500km all'arrivo. Riparto ristorato e dopo un po' mi ritrovo su strade note e ripercorro una trentina di km che avevo già fatto salendo da Mohacs solo che adesso ci saranno almeno 10/15 gradi in più. Ripasso sul ponte di Baja, 
mi infilo nella solita foresta ma il sole è così perpendicolare che non fa un filo d'ombra. Ritrovo anche la simpatica “scultura” che avevo già fotografato all'andata una settimana fa, visto che la scritta Lovasnap seguita dalla data del mio compleanno mi era parsa benaugurale. Avevo scoperto poi che significa “Festa dei cavalli” e infatti intravedo una specie di rodeo con recinti di legno e vestiti da cow-boys...non so quanto i cavalli siano felici di questa festa ma spero non li maltrattino troppo.

L'unica differenza stradale è che dopo un po' giro a sinistra imboccando un pezzo di statale dove Akos mi aveva consigliato di stare attento. Il fatto è che gli automobilisti ungheresi hanno questa strana passione per la velocità e spesso li vedi sfrecciare o ancor peggio a gareggiare a velocità spropositata così, tanto per sgasare un po' e magari dopo qualche km li ritrovi fuori dal bar a bersi una birretta. Questo tratto è particolarmente largo ed evidentemente attizza la passione per la velocità perciò mi vedo sfilare alcuni pazzoidi sui 150 all'ora. Come si possa intendere il consiglio del buon Akos se non standosene il più possibile a destra stringendo le chiappe non è dato di sapere.
Sono all'estremo sud dell'Ungheria e passo finalmente per la famosa Mohacs, città sul Danubio famosa per le due battaglie contro i Turchi: una vinta e una persa.
La zona è piuttosto spopolata e destinata, come buona parte dell'Ungheria all'agricoltura. Il sole inizia a calare e ne approfitto per questa foto che titolerò: il tramonto del ciclista randagio. 
Capisco che non riuscirò ad arrivare a Pecs prima del buio ma prendo tempo, come sempre, prima di bardarmi per la notte. Arrivo così al controllo di Villany dove improvvisamente dalla calma piatta della campagna ungherese con i contadini che rientrano dai campi, mi ritrovo in una festa totale. E' una specie di sagra del vino che prevede gare di assaggio cui partecipano pittoresche squadre che con calice di ordinanza alla mano si trascinano da un “check-point” all'altro, poi c'è il luna park e tutto il paese è un locale dopo l'altro pieno di gente più o meno sbronza. Io mi fermo a chiedere dove è il ristorante del nostro controllo e vengo arpionato da due belle quanto discinte magiare che insistono perchè mi fermi con loro a bere l'ottimo vino locale. Mi devo dare un pizzicotto...è vero che è ancora il giorno del mio compleanno, iniziato col discorso della foresta e proseguito con l'avvenente”portiera” di notte però dieci minuti fa stavo grufolando nella noia totale e adesso mi ritrovo in mezzo a questa baldoria? Sono gli estremi tipici dell'Ungheria e dovrei iniziare a capire come funziona. Comunque declino gentilmente, quanto a malincuore, l'invito...timbro e riparto prima che faccia notte verso Pecs che anche le ragazze mi confermano essere una città molto vivace.
Pedalo sulle solite rettilineosalite che questa volta mi portano davvero in cima a qualcosa visto che all'improvviso compare davanti alla mia bici il profilo illuminato di Pecs “la città senza confini”. Situata vicino al confine con la Croazia ha la fama di essere una città aperta e multietnica, vivibile e creativa. Mi tuffo in discesa nelle luci della periferia che la rendono molto più grande di quanto sia veramente anche grazie all'effetto anfiteatro conferitole dai monti Mecsek sui quali è adagiata. Questa volta sono felice di avere un navigatore che mi porta per mano attraverso la brutta periferia e poi verso il centro storico contornato dalle mura antiche dette Barbakan. Arrivo nella piazza principale dominata dall'antica moschea di Pasha Quasìm dalla quale si diparte una strada pedonale strapiena di gente che balla, beve e se la spassa. La traccia, sempre molto precisa grazie alle correzioni di Silvano-Parakito, si blocca in un localino dove una street band ha appeno finito l'esibizione. Chiedo a due ragazzi al tavolino dove sia il mio hostello e quelli mi fanno: ma è questo! All'inizio penso che abbiano bevuto qualche birra di troppo ma verificato che sono due tedeschi ,che dormono anche loro qui, entro e cerco di capire. Ricordo a questo punto che Akos mi aveva consigliato il posto ed in effetti il gestore, un ragazzo gentilissimo, abbandona il locale strapieno per mostrarmi la nostra stanza. In effetti l'ostello è al piano superiore di questa vecchia casa che mi ricorda moltissimo le case occupate o i locali alternativi di Berlino.
 Mi porto su la bici e scopro che avevano prenotato un'intera camerata solo per noi randagi ed il murale che campeggia all'ingresso testimonia del rispetto per i viaggiatori. Sono veramente felice ed il mio compleanno non poteva chiudersi meglio. Mi doccio e scendo a ritirare una sontuosa birra doppio malto “Pecsi” che mi risveglia l'appetito. Scovo un kebabbaro che prepara ottime felafel con una buona baklava come dessert : la seconda Pecsi mi canta la ninna nanna. 
Malgrado sia proprio sopra la strada della movida dormo il sonno dei giusti e soprattutto degli stanchi visto che ho pedalato 1200km in tre giorni. Quando scendo alle 5 pronto per partire il tipo è abcora lì bello e felice come il sole che si beve l'ultimo Mojito con gli amici. Mi dice che fa questa vita da 15 anni e che si diverte ancora un mondo...beato lui. La situazione comunque è molto bella e vivace perciò capisco anche che in questo contesto possa divertirsi ancora a tirare le 5 quasi tutta la settimana...vedremo tra 20 anni.
Io riparto dopo un caffè+baklava energizzanti, albeggia e la città è deserta quindi ancora più piacevole...è come vedere una bella ragazza nuda che dorme.
Mi risvegliano le prime rampe di quella che sarà una delle salite più dure del tour ed in effetti questa tappa ha l'altimetria più importante di tutte. Ma sono fresco sia di forze che di termometro e salgo senza problemi. Durante la bella discesa noto una colorata scritta su un muro che recita “welcome to the paradise”, non posso che ripensare all'opposta scritta che accoglie i ciclisti all'inizio dello Zoncolan. A poco a poco inizio a capire che il murales non è solo una boutade pubblicitaria perche Orfu è davvero una vallata baciata da Dio. Laghetti, boschi, dolci colline e belle case fanno sì che la zona sia effettivamente una destinazione turistica molto ambita non solo in Ungheria. Beh meno male che esistono ancora bei posti in questo mondo malato.

Dopo qualche km purtroppo mi ritrovo nella condizione di Adamo ed Eva dopo la cacciata e mi ritrovo affamato ed a sbuffare in salita tra il traffico che, benchè sia domenica mattina, incomincia a farsi vivace. Passo la bella ed austera Kaposvàr e trovo un market aperto dove mi fermo a fare spesa. Entro e mi squadrano come un marziano e mi ricordo come qualche sociologo sostenga che ormai le maggiori differenze culturali non si trovino più tra le varie zone di una nazione ma tra città grandi e paesini. Insomma benchè io sia a pochi km da una città cosmopolita come Pecs e poco distante da Budapest che è una delle capitali della movida europea, le mamme portano via i bambini che vorrebbero vedere quella specie di fenomeno da baraccone che devo apparirgli. In effetti già i ciclisti sono merce rara da queste parti, se poi aggiungiamo luci, navigatore, borse e la mia faccia sbattuta da 4 giorni di sella posso anche capirli. Il market è veramente disadorno: pane secco, frutta marcia e formaggio che sa di plastica ma mancano solo 200km all'arrivo e va bene così. Ancora qualche salita e arrivo sul Balaton però sulla sponda sud. Timbro e riparto spedito pensando che almeno qui la strada sarà davvero pianeggiante...è vero però per motivi sconosciuti la costiera è in maggior parte vietata alle bici. Vi sono delle vecchie ciclabili spesso strette e maltenute che vanno anche bene per le famigliole nella loro sgambatina di 10km della domenica mattina ma che mal si prestano alla bisogna di un rude randagio che vorrebbe al più presto vedere la scritta “Veszprem”. Faccio quindi l'italo-indiano anche se in alcuni tratti dove la ciclabile si sposta molto dalla strada principale sono costretto a percorrerla e anche a fare qualche fotografia per testimoniare il fatto.

A proposito di fotografie perdo un po' di tempo per riprendere bene lo spettacolare castello medievale di Sumeg. Da lontano è troppo piccolo, quando arrivo vicino ci sono le case davanti e alla fine mi tocca riprenderlo di profilo che non certo il suo lato buono...è chiaro che fare una randonnèe con un po' di ritmo sacrifica la qualità fotografica e spesso mi trovo a pensare se quel punto appena passato forse non sarebbe valso uno stop...raramente comunque torno indietro... 
dipende anche da come è messa la strada: qui ad esempio trovo in una discesella questa casa con alcuni dei simboli di questo giro: il tao dipinto sul muro ed il camioncino della “Bomba”
 una bevanda energetica sulla quale ho molto scherzato con gli amici prima della partenza vista la fama mitica di questa bevanda nell'ambiente ciclistico portata alla consacrazione dalla partecipazione di Fantozzi alla Cobram.

Ridendo e scherzando arrivo all'ultimo controllo di Ajda, mancano meno di 40km alla fine ma mai dire:”è finita “perchè da quando lo dici, o lo pensi, la strada diventa un calvario. Intanto l'organizzatore ha piazzato una salita arcigna subito dopo il timbro e mentre lo sto maledicendo me lo vedo sbucare col suo furgoncino. Starò delirando oppure sta andando a casa sua o a soccorrere qualcuno in crisi...invece dopo qualche minuto mi ri-supera e lo trovo fermo che mi fotografa...beh evidentemente non deve avere più molto da fare, penso, e alla fine sono il terzo umano ed il primo straniero a finire il brevetto. Però quando capisco che mi vuole scortare fino all'arrivo, e mancano più di 15 km, mi sembra veramente esagerato...va bene che la statale M-7 è abbastanza trafficata ma siamo passati in posti ben peggiori.
All'ingresso di Veszprem mi fermo sotto al cartello scritto in caratteri runici 
e mi faccio scattare svariate foto ricordo anche al Magistral con tutti gli organizzatori.

Sono quasi le 18 il che vuol dire che ho impiegato poco più di 84 ore, una in più dell'anno scorso alla LEL a parità di chilometraggio. Pensavo di metterci di meno ma probabilmente ha pesato il fatto che ho dovuto farla quasi tutta da solo e la necessità di arrangiarsi per sopravvivere mente l'ottima organizzazione da Londra in poi mi aveva lasciato concentrare solo sul fatto atletico, se mi passate il termine altisonante. Sono comunque molto più riposato e ben messo fisicamente segno che l'esperienza qualcosa me l'ha insegnato.
Dopo la doccia vado a far scorta di birra e cibo per gli italiani che dovrebbero arrivare di lì a qualche ora: telefono a Mariano che mi dice che sono a circa 100km dall'arrivo ma devono essere un po' cotti, comprensibilmente viste le temperature, e non arriveranno prima delle 4 di mattino.
Visto che sono totalmente disoccupati conosco un po' meglio i volontari francesi ovvero Alain e Sylvie. Dobbiamo proprio ringraziare persone come queste se possiamo permetterci di fare questi brevetti. Loro in effetti avevano contattato Akos per partecipare alla Rando ma scrivendosi le mail organizzative si erano resi conto di quanto lavoro avesse e quanto scarsa fosse la sua brigata. Così si erano offerti volontari per supportarlo...immagino infine quanto debba essere stato triste per lui scoprire che i 60 partecipanti dell'anno scorso si erano dimezzati, in effetti le recensioni dei partecipanti italianei erano state buone ma chissà alla fine tutti cerchiamo di variare e scoprire nuove strade e nuovi paesaggi.
In ogni caso anche questa sgroppata balcanica era finita, indubbiamente in questi 2700km pedalati in 15 giorni le emozioni non erano mancate e grazie al cielo era finito tutto bene. Avevo anche fatto amicizia con Sergej e Michael col quale avrei fatto in macchina il viaggio di ritorno a Bled in Slovenia.

Il sogno di quest'anno si era quindi concluso positivamente ma aveva acceso le scintille per nuovi sogni e nuove sfide...e se è vero che siamo fatti della materia dei nostri sogni bisogna pur averne sempre di nuovi e costruire nuovi cassetti per bilanciare la consuetudine quotidiana.
Ancora una volta entrambe le risposte sono necessarie per mantenere l'equilibrio nella vita.