UN
GUAZZABUGLIO BALCANICO
Partendo
per un lungo viaggio in bici come questo, frutto evidentemente di
mesi di preparazione fisico-logistica, passo le prime ore cercando di
staccarmi dalla consuetudine quotidiana e contemporaneamente
ripassando tutta la dotazione che ho cammellato nelle borse. Si dice
che un bagaglio sia ben fatto se entro l'arrivo avrai usato almeno
una volta tutto quello che ti sei portato dietro, d'altra è pur vero
l'adagio: se lo porti probabilmente non ti servirà ma se non lo
porti probabilmente ti sarebbe servito. E' anche vero che alla fine
tanti piccoli particolari da pochi grammi diventano chili e che
soprattutto quando la strada sale il peso si sente più della
mancanza delle forbicine o di calze invernali: come spesso succede
nella vita è questione di sintesi ed equilibrio.
In
bilico tra questi insegnamenti e sulla scorta di qualche esperienza
passata, mi ritrovo a pedalare tra le colline a sud di Bled in una
luminosa domenica mattina. Non deve sorprendere, visto il mio
desiderio di partire da casa per questi lunghi viaggi ciclistici,
questo luogo visto che la mia doppia nazionalità ed il fatto che da
tutta la vita passo qui in Slovenia svariati mesi me la fanno sentire
legittimamente come una seconda casa.
Il
distacco dalla normalità diventa reale solo all'ingresso a Lubiana
dopo 50km non perchè non conosca le strade della città natale
materna ma perchè mi accorgo solo oggi che è vietato pedalare sulle
stradeprincipali. Come nelle ben organizzate città nord-europee
infatti ci sono ovunque ciclabili che però io cerco notoriamente di
evitare visto che sono pericolose e rallentano molto la marcia. Sono
un ciclo-anarchico, non so cosa farci, e non mi fermo neppure ai
semafori se proprio non corro il rischio di essere asfaltato da una
tangenziale in piena. Scoprirò solo al rientro che la multa per chi
contravviene l'obbligo ciclabile è di 100€ ma la mattina del 6
luglio 2014 questo lo ignoravo e la fortuna mi aiuta, evidentemente è
domenica mattina anche per gli sbirri sloveni..., e attraverso la
città senza problemi. Spariscono le montagne della Gorenska ma
colline e verde restano il contorno comune in questa che è la
nazione europea con la più alta percentuale di boschi anche dopo il
disastro causato dal gelicidio invernale.
Qualche
km dopo Luce, un paese che avrebbe dovuto illuminarmi..., la strada
diventa sterrata. E' un bello sterrato per intenderci, niente a che
vedere con i carradoni bucherellati che costellano la pianura padana,
liscio e ben tenuto ma avrebbe dovuto invitarmi a maggior prudenza
rispetto alle tracce GPS cui mi affido in questi viaggi.
Da anni
utilizzo all'uopo il programma “Bike route toaster” che permette
di tracciare un percorso dando alcune preferenze tipo “evita le
autostrade oppure gli sterrati” che però non sempre vengono
rispettate nei 3/4 secondi che il programma inpiega per elaborare
150km di traccia. Se infatti la prima richiesta è abbastanza
semplice per la seconda esistono molte variabili tipo “risparmiamo
sulla manutenzione” oppure “guerre che cambiano i confini” cui
il software in questione male si adatta. Comunque questa variante
sterrata mi permette di arrivare a Krka risparmiando qualche
chilometro, mi fermo a fare quanche foto al castello medievale di
Žužemberk
e nel primo pomeriggio arrivo agilmente al camping presso le Terme di
Dolenjske Toplice dopo ho pianificato la prima facile tappa di 120km.
Mi sono tenuto un po' di tempo per godermi qualche ora a mollo prima
delle dure tappe Bosniache.
Alla
sera mangio la prima di una lunga serie di pizze, non sono terre per
vegetariani queste..., e ascolto i discorsi incazzati dei locali
sulle lezioni di domenica prossima: inizio a percepire quel senso di
“si stava meglio quando si stava peggio” che mi accompagnerà in
questo viaggio nell'ex Yugo. E' forte la sensazione di delusione nei
confronti della classe politica dopo le speranze ispirate
dall'indipendenza conquistata nel 1991: poco lavoro, meno tutele
sociali, politicanti corrotti sono il piatto amaro che si trovano a
masticare anche i “ricchi” sloveni. D'altronde bisogna capirli:
hanno fatto due guerre per l'indipendenza in 50 anni e sono stati poi
puntualmente fregati dalla nuova classe dirigente...mi viene in mente
Battiato quando cantava “Le barricate in piazza le fai per conto
della borghesia...”
Mi
risveglio all'alba nel campeggio semideserto abitato solo dagli
onnipresenti olandesi e da un camper tedesco. Ripongo purtroppo la
tenda bagnata fradicia per l'umidità del vicino torrente che mi ha
“allietato” col canto di ogni sorta di animale notturno. Sarò
l'unica notte in tenda del viaggio e forse è meglio così...il
campeggio è roba per placidi visitatori non per pedalatori “fast
&furious...”
La
seconda tappa inizia a fare sul serio sia in termini di
chilometraggio che di terre tormentate: attraverserò la Croazia per
arrivare a Bihac in Bosnia. Il battesimo di guerra sarà più
caliente del previsto ma andiamo per gradi...
Entro
con calma in Croazia che attraverserò nella parte centrale, la più
corta; nei primi km la strada continua a essere contornata da ridenti
colline ma a poco a poco il panorama si fa più brullo e carsico. Il
mio GPS, sempre alla ricerca della strada più corta, mi fa passare
da stradine e paesini sconosciuti anche ai locali su tratturi che
fortunatamente sono bucherellati ma asfaltati. Sembra di essere a
casa nel carpigiano insomma...Fa molto caldo e verso le 12 mi fermo a
mangiare qualcosa davanti al singolare ponte di Tounj costruito in
due tempi: il primo nel '700 e il secondo nel 1835 quando oltre alla
seconda arcata furono sistemate anche alcune statue romane.
Il luogo,
vista la montagna di spazzatura che lo ammorba sembra però più
frequentato da ubriaconi notturni che da compassati turisti olandesi.
Risalgo in bici con temperature sui 35° e in un continuo su e giù
visto che da queste parti il concetto di pianura è sconosciuto.
Attraverso laghetti e fiumi con splendide acque blu e devo veramente
resistere alla tentazione di buttarmi dentro per rinfrescarmi...devo
dire però che il tutto è molto roccioso e non vedo alcun bagnante.
Veramente la zona è semidesertica di suo e sì che dovrei essere
ormai all'altezza del famoso parco dei laghi di Plitvice.
A
posteriori vorrei modificare l'aggettivo in famigerato parco perchè
oltre alle bellezze naturali il luogo è più tristemente famoso per
essere stato proprio l'inizio della guerra civile 1991-95. Infatti la
strada inizia a essere bordata da cimiteri improvvisati, monumenti,
immagino dell'ex Yugoslavia, distrutti e case bucherellate e
disabitate. Ci rimango male non perchè fossero cose alle quali eroimpreparato, anzi era proprio questa la ragione del mio viaggio, ma non
già qui e ora. In fin dei conti siamo a 70 km dal confine sloveno e
a 200 da Trieste e sono passati 20 anni invece in molti posti la
storia si è fermata, soprattutto se le case distrutte appartenevano
all'etnia perdente che evidentemente non è più potuta rientrare,
ammesso sia ancora viva, nelle proprie vecchie abitazioni. Mentre
rimugino su questi disastri mi rendo conto che sono a corto di acqua,
sembra incredibile in una zona famosa per laghi e cascatelle che
però, fenomeno tipicamente carsico, stanno in fondo alle vallate
mentre sopra, dove passa la mia dannata strada, il terreno è proprio
secco e quasi desertico. Mi viene in mente la brutta avventura
passata l'anno scorso nella Marne e constato che le guerre lasciano
evidentemente scorie psichiche negative e difficilmente quelle
località vengono riabitate. Continuo a pedalare visto che sul
navigatore ho visto che manca poco a Mjesto Primislje e le mie scarse
conoscenze in croato mi permettono di sapere che Mjesto significa
città perciò, penso, qualcosa troverò. Quello che mi aspetta
invece è rappresentato da questa foto
ed il paese è totalmente
distrutto o bruciato e comunque disabitato.Sembra uno di quei posti
abbandonati del Far West. Sono veramente sconvolto da questo
spettacolo e anche preoccupato visto che la strada prosegue in un
altipiano brullo e senza traccia umana...stringo i denti e finalmente
arrivo in periferia di Slunj, città questa volta viva e popolata. Al
primo segno di vita elemosino una borraccia d'acqua che mi risveglia.
Il peggio è passato penso, mancano una cinquantina di km da
Bihac...un paio di orette ed anche oggi è fatta. Per fortuna
all'uscita del paese la brutta esperienza passata mi spinge a
fermarmi in una casetta e chiedere acqua anche per la seconda
borraccia. Esce una gentile vecchietta rincartapecorita con un'enorme
caraffa di birra piena d'acqua fresca che mi chiede la destinazione:
vado a Bihac in Bosnia annuncio trionfalmente e lei mi guarda
strano...da questa parte? Mi chiede ma io faccio il grande e sfoggio
il mio “sicuro” GPS che mi porterà in Bosnia tra stradine
sconosciute a questi rozzi paesani...sticazzi! Non mi insospettisco
neppure quando dopo un po' di km la strada diventa sterrata poi a
poco a poco il percorso diventa brutto brutto brutto soprattutto per
uno che pedala su una bici da corsa con 12kg di borse e copertoni da
23mm. Sarà qualche km, mi dico, anche perchè non ho visto cartelli
stradali che indicassero la Bosnia e non mi sembra di avere altre
alternative che proseguire. Dopo qualche altro km la strada si fa
decisamente impossibile tra strappi e discese che sarebbero
difficili da percorrere anche in MTB, la sensazione di ostilità è
aggravata dalla mancanza totale di traffico e da sinistri cartelli
che indicano la vicinanza al confine di stato e invitano a non
abbandonare la “strada maestra”.
Spesso devo scendere e spingere
la bici. Le uniche tracce di vite sono trucidi cani pastore che mi
abbaiano contro. Dopo un'ora e più di questa tortura compare qualche
traccia di strada asfaltata che mi fa ben sperare ma è solo
un'illusione. Infine scendo decisamente a valle e il tutto termina
impietosamente nei pressi di un fiume dal nome mistico di Korana il
cui attraversamento è tuttavia brutalmente impedito da una fitta
muraglia di filo spinato rinforzato da spinosi rami di acacia.
Oltre
al ponte vedo la bandiera bosniaca e capisco tutto: la mappa che
segue il mio GPS è antecedente alla guerra quando questo era
evidentemente un normale passaggio all'interno della Yugoslavia. Dopo
il 1995 questi sono diventati due stati separati, ancora di più dopo
l'ingresso della Croazia nell'Unione Europea. Ma più che in queste
sottili discettazioni storico-geografiche per ora sono impegnato a
capire come superare lo sbarramento visto che l'idea di rifarmi la
via crucis dello sterrato non mi sfiora neppure. Faccio intanto la
conoscenza del filo spinato moderno che al posto dei classici
spunzoni acuminati presenta piccoli trapezi rovesciati e molto
appuntiti che ti tagliano la pelle come fosse mozzarella appena li
sfiori. Impossibile scalarli perciò decido di staccare le borse e di
gettarle letteralmente oltre all'ostacolo seguite dalla mia fida
Giant, il cuore per questa volta lo tengo con me...naturalmente il
tutto si impiglia nel filo spinato e comunque non avendo uno
specifico allenamento in salto in alto sono costretto a tentare la
sorte appendendomi all'esterno del ponte sul parapetto metallico.
Operazione evidentemente“facilitata “dalle rigide scarpette da
ciclismo che indosso...proseguo un paio di metri quando guardo in
basso dove scorre il mistico fiume e penso rabbrividendo a cosa
potrebbe succedere se passasse una macchina della polizia: in fin dei
conti sto uscendo illegalmente dalla Comunità Europea per entrare
ancora più illegalmente in uno stato che è stato notoriamente
disseminato di mine come fossero coriandoli a Carnevale. Per fortuna
la zona è tranquilla, e chi è il pazzo che sceglierebbe un
passaggio tanto rischioso e di giorno per di più, per entrare in
Bosnia? Raccatto velocemente borse e bici disincagliandole dal filo
spinato a costo di una decina di tagli e della perdita di un paio di
lenti notture ma riesco comunque a guadagnare, facendo finta di
niente, un bar che sorge proprio alla fine del ponte. Esce un ragazzo
che evidentemente ha seguito tutta la scena dalle vetrate con alcuni
amici...non che si siano sbattuti particolarmente ma almeno mi
offrono da bere e mi rassicurano che da lì a Bihac è tutta in
discesa. Io filo via temendo l'arrivo degli sbirri e mi cago sotto
quando dopo poche curve incrocio proprio una macchina della polizia
bosniaca: ci sarà stato qualche infame che li ha chiamati? Oppure
sono lì per caso? La mia unica reazione ciclisticamente parlando è
quella di raddoppiare gli sforzi e provare a svignarmela ben
consapevole che in caso di controllo non posso fare altro che
raccontare la verità portandone le conseguenze. Invece non succede
nulla, nessuno mi blocca e dopo un'oretta pedalata ad andatura ”a
là Cancellara” entro trionfalmente a Bihac. Ce l'ho fatta ma sono
ancora così sconvolto dalla brutta avventura appena passata per
gioire, intanto almeno trovo un altro ciclista che parla un po' di
inglese e mi guida al punto di iscrizione. Vive in Svezia ma è di
origine Bosnica, così come moltissimi partecipanti alla Maraton che
risultano essere emigrati, spesso viventi in stati molto lontani e
che magari sono tornati proprio per partecipare alla pedalata. Il
fatto è che Srebrenica è un po' la pietra miliare dello stato
Bosniaco e la ricorrenza dell'11 luglio, anniversario del “massacro”,
è evidentemente la festa/lutto nazionale più importante.
Arrivo
all'hotel dove avviene l'iscrizione e conosco di persona
l'organizzatore, Lipa il quale mi rifila subito due patacche: una
maglietta ricordo di taglia S, mentre avevo chiesto una XL ma lo
scoprirò troppo tardi,e come accompagnatore lo”sloveno” Muja che
mi accompagna nella pensione dove hanno la base gli sloveni. Qui
hanno ancora una camera libera nel sottotetto per 10€ ma dopo
quello che ho passato oggi quando mi vedevo già a languire ai ceppi
in qualche prigione locale sono ultra-felice. C'è anche il wi-fi e
dopo una lunga doccia esco alla cerca di cibo perchè più che sabbia
e rabbia oggi non ho mangiato un granchè.
Scopro
così che Bihac è una città molto bella, bagnata dalle chiare acque
le fiume Una tra mille cascatelle
e che per alcuni secoli fu oggetto
di pellegrinaggi ad opera di fedeli allo gnosticismo
in quanto si credeva che qui fosse nascosto nientepopodimenochè il
Santo Graal. Sicuramente vi sono tracce di un passato cristiano con
le chiese trasformate in moschee dopo la conquista turca, ma
l'atmosfera è decisamente positiva e mi raccontano che anche durante
la guerra non ci sono state le nefandezze di altri posti. Riscuoto al
bancomat un congruo gruzzolo di BAM (i marchi compensati che sono la
surreale valuta locale...come facciano a compensare una moneta che
non esiste più da 15 anni resta un mistero...).
Il
fiume Una è veramente molto pittoresco, il centro storico bello e
movimentato e trovo anche un posto dome mi preparano una discreta
pizza...mi permetto anche un bel birrone e, come spesso accade, gli
spaventi e le fatiche della giornata sembrano già essere svaniti,
certamente DOPO è tutto più facile ma quando ci sei dentro NO!
Mi
sveglio un po' intontito anche perchè un localino qui vicino ci ha
dato dentro di hard rock anni 80 fino a tarda ora...purtroppo ora la
musica è cambiata e sono tuoni che annunciano un pioggia battente
che non tarda a scorrere. Faccio la conoscenza del resto della banda
slovena che mi ha adottato e mi accompagnerà in questi giorni.
Hanno
anche un furgone e una macchina di supporto perciò gli rifilo
gentilmente le mie pesanti borse e già il pensiero di non dovermi
trascinare tutti quei Kg su per le montagne bosniache mi fa
dimenticare la pioggia. La banda slovena è composta prevalentemente
da bosniaci che vi sono andati a lavorare ma ci sono anche alcuni
sloveni DOC, ciclisticamente lasciano molto a desiderare ma mi
accorgerò in seguito che non sono gli unici, anzi. Questa ciclo
Maratona Bihac- Srebrenica ha infatti più finalità di
testimonianza/socializzazione che sportive anche se, come vedremo,
l'anima agonistica non è del tutto sopita.
Ma
torniamo alla piazza principale dove in magna pompa sta prendendo il
via la nostra pedalata: capisco subito che è una cosa dannatamente
ufficiale con tanto di inno nazionale e saluto del sindaco. Però
faccio anche conoscenza con un piccolo gruppo di ciclisti
internazionali: Cyril, un olandese che vive e lavora a Sarajevo, e
Alex giornalista americano free-lance più una ragazza di Sarajevo
loro amica e un tipo belga. Continua a piovere quando finalmente la
carovana, siamo ora 220 ciclisti più svariati mezzi di supporto,
muove le ancore tra gli applausi della popolazione: è emozionante
vedere anche le finestre degli uffici aprirsi e la gente che ci
saluta veramente di cuore. Anche perchè loro rimangono lì al
calduccio noi invece abbiamo 150km da sgrumarci sotto l'acqua il che
è ben differente.
Imparo
subito una parola cui avrei preferito restare all'oscuro: Kisa (si
pronuncia kiscia) e vuol dire pioggia.
L'andatura
è veramente rilassata e pedaliamo in doppia fila sui 20 all'ora,
d'altronde quasi tutti sono in MTB e denotano più entusiasmo che
preparazione fisica. In queste condizioni mi rendo conto che anche
fare “solo” 150 km al giorno per loro sia già un'impresa. Io
pedalo a fianco del mio accompagnatore Muja che già la sera prima mi
ha illuminato sullo status religioso bosniaco...certo sono musulmani,
racconta, ma europei non arabi perciò bevono birra e del ramadan gli
interessa molto relativamente. Nel gruppo pare ci siano anche dei
praticanti che di dice rispettino anche la prescrizione di non bere
nulla durante il giorno ma non credo che nelle giornate più calde
abbiano tenuto a botta, come sempre, in ogni caso Allah sa di
più...comunque Muja sentenzia, riguardo alla pioggia battente, che
ciò che inizia male spesso finisce bene ed in effetti la sua
profezia funzionerà abbastanza per me, un po' per lui perche al
ristoro viene colpito da una violenta diarrea che lo costringerà a
salire in macchina dalla quale scenderà, guarda caso, solo in vista
di Srebrenica. Il sospetto della malattia diplomatica è molto
forte...ma intanto arriviamo alla prima salita e lì viene lasciato
libero sfogo alle velleità agonistiche dei partecipanti. Alcuni
facinorosi, tra i quali svettano i membri di una squadra di Bihac
che di solito aiutano a mantenere l'ordine nel gruppo al cui comando
viaggia l'attivissimo Lipa, al segnale del “rompete le
righe”partono come molle e tirano come dei dannati fino in cima
alla salita dove è posta la prima sosta. Inizialmente mi illudo che
ciò sia dovuto alla pioggia ma invece il buon Cyril, che l'ha già
fatta l'anno scorso, mi spiega che funziona così e ogni 20-25 km ci
si ferma per una quarantina di minuti più una pausa di un'ora e
mezza per il pranzo. La cosa mi sembra assurda anche perchè non c'è
niente di peggio che starsene fermi mezz'ora sotto l'acqua e poi
ripartire ma siamo in Bosnia e le cose vanno così. Vedo però che la
disciplina non è così ferrea perciò dopo un po' me ne infischio
degli ordini e parto per i fatti miei. Frattanto smette di piovere e
mi ritrovo in un bel paesaggio molto simile alla Scozia.
Riparo
velocemente una foratura e dopo pochi km arriviamo ad una seconda
pausa, questa volta di un'oretta. Da un camioncino vengono
distribuite dall'organizazione
barrette di cioccolato e bibite gassate ma sarà un”una tantum”
d'altronde per 20€
che includono la maglietta, i tre pranzi con relativi pernottamenti,
anche se in locali di fortuna, non si puo pretendere troppo.
Anche
questa volta decido di ripartire da solo ma mi rendo conto che è un
azzardo anche perchè è vero che non ci sono molte deviazioni ma non
so letteralmente dove andare, comunque riesco ad arrivare alla zona
pranzo piazzata amenamente sulla riva di un fiume. Il pranzo consiste
in una manciata di verze, proprio così le solerti vivandiere locali
ancorchè munite di guanti da cucina usano proprie le gentili manine
sprezzando le volgari e borghesi posate, seguita da una sorta di
pasta scotta a livelli inverosimili come avevo mangiato solo al Cairo
anni fa...deve essere proprio una tendenza araba. C'era anche della
carnazza che snobbo tra lo stupore generale...i soliti fighetti
italiani, penseranno.
Metto
ad asciugare tutti i miei stracci e mi godo se non il pranzo almeno
la bellezza del loco.
Bella e tormentata questa Bosnia, penso,
sgranocchiando una fetta enorme di anguria che funge da dessert.
Ripartiamo dopo quasi due ore ma oramai ho capito l'antifona e mi
metto a ruota della banda prendendomela comoda anche se ad ogni
salita si ripete la sparata generale per il gran premio della
montagna...poi sosta di 30-40 minuti e via per altri 20/25 km.
Rimanendo in gruppo ho anche l'occasione di osservare meglio i
partecipanti alla Maraton....Molti esternano platealmente con
bandiere e vessilli il carattere nazionalistico della pedalata che
onestamente ha più un taglio filo-Bosniaco che pacifista.
A
sera raggiungiamo Jaice che fu l'antica capitale del regno ed è
dominata dalle rovine del castello reale.
Nell'albergo vicino
all'arrivo mi chiedono una cifra esorbitante perciò mi accuccio
nella palestra messa a disposizione per noi ciclisti, alla sera ceno
con la brigata internazionale conversando piacevolmente con Cyril che
è anche lui vegetariano e molto simpatico. Nel frattempo stanno
giocando la semifinale dei mondiali tra Brasile e Germania, il famoso
7-1, e immaginate il tripudio che accompagna la mitragliata
teutonica...non so come ma qui tifano tutti Deutschland...
La
mattina dopo si riparte sotto alla moschea e ad un bel cielo blu,
mangio una splendida Baklava, più che un dolce una vera bomba
calorica, e imparo due nuove parole “nema kiše
” oggi non piove, inshallah, e infatti così sarà.
La giornata
scorre abbastanza piacevole anche se l'andatura è sempre
schizofrenica alternando momenti di calma, rotti solo ogni tanto dal
tentativo di Lipa e dei suoi sgherri di mantenere serrate le fila
urlando “po dva”(in fila per due) oppure “po jedan” (in fila
unica) comandi che vengono regolarmente disattesi dopo poche
centinaia di metri. Bisogna dire che siamo costantemente scortati da
macchie e/o moto della polizia e nel pomeriggio quando ci fanno
addirittura passare per l'autostrada capisco che il buon Lipa e la
sua organizzazione hanno amici molto in alto. Nel tratto autostradale
passiamo anche davanti alla presunta piramide di Visoko.
Me ne aveva
parlato un amico alcuni fa e mi ero interessato alle teorie di chi vi
vedeva tracce di un'antica civiltà che l'avrebbe costruita
addirittura 16.000 anni fa. Vedo però che questa confermazione è
abbastanza comune in zona, in effetti mi dicono che ce ne sarebbero
almeno sei, e ne parlo con un ragazzo di Sarajevo che però è molto
perplesso sulla storia. Vero che scavando sono state scoperte tracce
di cunicoli sotterrranei e che in zona sono state trovate strane
pietre sferiche alte due-tre metri. Insomma qualcosa di strano c'è
ma onestamente anche un dietrologo come me ha ben poche prove per
avvalorare le tesi piramidali...sembra che gli unici certi della
positività della teoria siano albergatori e ristoratori della zona
che, al pari dei loro colleghi sul Loch Ness ad esempio, hanno
trovato la vera gallina dalle uova d'oro, ma a forma piramidale si
capisce.
L'arrivo
a Sarajevo non ha molto di romantico visto che la tappa termina in
periferia in una caserma dell'esercito Bosniaco. Vengono distribuiti
ad ognuno un tris di burek che il buon Cyril ha fatto portare e mi
mangio quello al formaggio e agli spinaci. Lui gestisce un'agenzia
turistica sostenibile ed evidentemente conosce bene la città; devo
comunque dire che i burek, una specie di torta salata di pasta
sfoglia con ricotta o carne, sono un buon piatto nazionale ed essendo
l'unico pasto vegetariano disponibile ovunque mi hanno salvato la
vita un po' ovunque in questo viaggio.
Provo
ad andare a trovare una branda in caserma ma proprio non ce la
faccio, mi risale il ricordo della mia esperienza giovanile nei parà
e ...vaffanculo le caserme, mi dico, piuttosto dormo sotto a un
ponte. Oltre a tutto qui c'è anche il coprifuoco e alle 22 bisogna
essere tutti dentro. Così ripesco Lipa che mi trova per pochi euro
una camera nell'hotel dove sono alloggiati anche gli sloveni,
trascino lì le mie borse e prendo possesso di una lussuosa camera
singola presso l'hotel BM posto un po' in periferia ma ben servito da
un tram che porta direttamente nel centro storico di Bascarsija . E'
tanto che sento decantare la storia ma anche la vivacità di questa
città simbolo dove sono stati appena celebrati, mi dicono un po' in
sordina, i 100 anni dall'assassinio dell'arciduca Ferdinando. Questo
attentato diede il via alla prima guerra mondiale...se avete un po'
di tempo leggetevi come andarono le cose quel 28 giugno perchè è
singolare la casualità che ha cambiato la storia del mondo. Sarajevo
subì anche un lungo assedio durante l'ultima guerra civile ma direi
che qui non se ne vedono le tracce, anzi. La vita notturna e la
bellezza delle giovani locali sono da località turistica
internazionale e fanno da stridente contrasto con la folla di fedeli
che affollano le moschee per le preghiere del Ramadan.
Per aumentare
la confusione Olanda ed Argentina stanno giocando la seconda
semifinale ed il centro è letteralmente tappezato da tv al plasma,
in una breve via ne ho contati 13 di fila. Mi spiegheranno Cyril e
soci che dopo la guearra anche qui sono arrivati molti soldi e che le
ambasciate occupano molte persone, ben pagate, e lo stile di vita è
notevolmente più ricco che altrove. Mi colpisce la palese
ostentazione di bandiere turche, che ritroverò anche in seguito, e
che la dice lunga sulle simpatie politiche del governo. Ammetto di
essere un po' frastornato, dopo giorni così spartani, a trovarmi in
mezzo a questo sfavillante struscio di bellisime ragazze e di
localini trendy con salottini studiatamente “arabeggianti” con
tanto di eccentriche waterpipe che tra l'altro qui non si erano mai
viste. Dopo un'oretta mi sembra un po' tutto finto e decido rientare
in hotel anche perchè domani ci aspetta la tappa più dura non solo
per il chilometraggio e le tante montagne ma anche per l'arrivo a
Srebrenica che si trova in una zona ancora calda della Bosnia. In
hotel mi assopisco guardando la triste, per gli olandesi, pantomima
dei rigori che mi sembra però una cosa totalmente estranea da questo
mondo reale.
Molto
più reale è la partenza per l'ultima tappa dalla caserma di
Sarajevo: ho già scritto come questa Maraton appaia fortemente
supportata dal governo Bosniaco e questa appartenenza risulta ancora
più palese oggi nell'attraversamento di questa sorta di Frankenstein
di culture che è questa “nazione”. Mi consigliano di guardare i
cartelli stradali se
la scritta è in cirillico vuol dire che siamo nella parte Serba. Ma
dopo un po' capisco che non c'è bisogno dei cartelli: basta vedere
la reazione della gente. Nelle zone musulmane ci applaudono e
addirittura lanciano fiori al nostro passaggio, nelle zone serbe ci
ignorano, qualche ragazzo ci sorpassa facendo il segno con le tre
dita tipico dei cetnici. Inizio poi a notare che in molti paesi ci
sono induividui barbuti che spaccano platealmente la legna al nostro
passaggio...insomma l'atmosfera è tutto meno che amichevole ma mi
dicono che anni fa era peggio, sputi per terra, lancio di sassi,
totale deserto nei paesi. Capisco che qui la guerra in un certo senso
non è mai fina e che certe ferite non si potranno mai rimarginare.
D'altronde questi territori sono stati per centinaia d'anni le zone
di confine e conflitto tra impero austro-ungarico e ottomano con
inserimenti filo-russi: difficile pensare che le tante crudeltà
stratificate nella storia possano livellarsi velocemente.
La
carovana procede comunque col solito ritmo schizofrenico ma oggi
voglio stare davanti perchè adesso che ho capito come funziona il
gioco oserei fare qualche scattino anche io. Faccio così conoscenza
con l'ambasciatore francese a Sarajevo che è un appassionato
ciclista e partecipa alla manifestazione con intenti umanitari,
s'intende, ma non disprezzando anche quelli sportivi.
Quando la Skoda
dell'organizzazione accelera lasciando libero sfogo alle velleità
corsarole è infatti uno dei primi a darsi da fare con ottimi
risultati. Scherzo con lui su quello che starà invece facendo a
quell'ora il broccoluto ambasciatore italiano che immagino stia
rimpinzandosi di cappuccino e croissant in qualche ufficio di
Sarajevo. In verità quella che frequenterò maggiormente della
famiglia francese è la moglie, non per le ragioni che qualche
malpensante avrà immaginato ma per il fatto che in salita abbiamo
quasi lo stesso passo e ci facciamo compagnia, in verità io sto
davanti e lei mi segue tanto che mi merito l'appellativo di “mon
ami” forse anche per i pantalancini Free Tibet che esibisco . Mi
dicono sia stata un'agonista da giovane e abbia anche fatto parte
della nazionale e non fatico a crederlo perchè anche adesso che è
oltre la quarantina sale con me sui 25 all'ora, certo non è lo
Stelvio ma comunque ci vuole un po' di gamba...Nell'ultima salita del
tour però mi tolgo la soddisfazione di staccare sia lei che il
marito...ah il demone della granfondao non è mai sopito.
Le bici dei partecipanti sono abbastanza alla buona per cui colpiscono alcuni telai decisamente corsaioli sui quali campeggiano scritte come la seguente che non fanno che confermare i miei dubbi sulla loro provenienza..
Ritorno
alla normalità notando questo artigianale spiedo spinto dalle pale
di un mulino ad acqua
e dopo un po' veniamo scossi dall'arrivo di una
carovana simile alla nostra ma composta da motociclisti con i quali
condivideremo la penultima sosta in un pandemonio indefinibile.
E'
successo che a poco a poco anche le nostre fila si siano rinforzate
con i partecipanti di altre manifestazioni analoghe alla nostra. Noto
che alcuni motociclisti hanno le targhe coperte da scotch o plastica
e mi spiegano che è una precauzione per evitare di essere
riconosciuti al rientro a casa, evidentemente abitano in territori
“ostili” della Srpska ovvero la parte serba della Bosnia.
L'ultima sosta è a Bratunac, ormai ad una ventina km dall'arrivo,
davanti al solito gruppo di case bruciate,
alle quali onestamente si
fa l'abitudine come a tutto, dove però sorge anche una chiesa
ortodossa. Vedo che molte persone vanno in quella direzione e mi
spiegano che la chiesa è stata costruita abusivamente nel giardino
di una signora che ha fatto causa agli ordodossi ed è diventato un
caso nazionale.
Piano
piano risaliamo in bici e l'atmosfera cambia, da una parte la gioia
per l'arrivo dopo oltre 450 km in tre giorni che soprattutto per chi
li ha fatti in MTB senza molto allenamento sono comunque un bel
traguardo e l'altra è la solennità del luogo. Quando arriviamo tra
due ali di folla che applaude, la televisione e le autorità
con
stretta di mano personale da parte di un alto politico locale è
veramente emozionante, d'altronde il cimitero è monumentale ed è
costruito davanti ad una fabbrica bruciata dove sarebbe avvenuto il
massacro.
La cerimonia finale è una specie di saluto/preghiera di
fronte ad un lungo telone di plastica che generalmente copre delle
bare, almeno così si vede in televisione . Io mi apparto e non
partecipo anche perchè su tutta questa storia ho sviluppato una mia
teoria già prima della partenza che si è consolidata durante questa
biciclettata.
Tutto
è iniziato nel corso dei preparativi quando ho contattato alcuni
amici di Warmshowers (l'oganizzazione di mutua assistenza tra
ciclisti erranti) e una ragazza di Brcko quando le ho scritto che
sarei stato sulla strada da Srebrenica verso l'Ungheria se l'è presa
col termine “massacro” invitandomi a vedere un film Norvegese
,Srebrenica - Izdani grad (A town betrayed, e di informarmi su cosa
era davvero successo a Srebrenica. Certo nei suoi panni di Serba nata
in Croazia alla quale durante la guerra era stata bruciata la casa
contringendola ad andarsene con tutta la famiglia, mi sarei incazzato
anche io e potevo capire la sua rabbia. Ma mettere in discussione un
fatto così famoso...guardai così il film che seppur dichiaratamente
filo-serbo tuttavia mi insinuò alcuni dubbi che mi proposi di
chiarire. Intendiamoci: ho partecipato a questa Maraton il cui motto
è “Per non dimenticare e perchè non si ripeta mai più” proprio
perchè, come spiegai durante l'intervista ad Alex, avevo
l'impressione che di questa guerra civile e dei misfatti compiuti dai
paesi occidentali e dall'ONU si parlasse sempre meno, tanto che avevo
intenzione di organizzare per l'anno 2015 una biciclettata da Modena
a Srebrenica in occasione del ventennale del massacro. Insomma ero
come tutti convinto della versione del massacro serbo e della
rimozione compiacente da parte dei mass media occidentali. Comunque
decisi di andare in fondo alla storia e lessi un libro di Alexander
Dorin che raccontava tutta un'altra storia. Foto alla mano
testimoniava le 3200 uccisioni causate dalle truppe bosniache
comandate dal famigerato Naser Oric in seguito arrestato e condannato
a due anni di carcere (pena considerata troppo leggera dal giudice
ONU Carla del Ponte) e soprattutto restituiva tutt'altra versione del
“massacro”. Si sostiene che Clinton avesse chiesto all'allora
presidente bosniaco Alija Izetbegović una “smoking gun” per
bombardare Belgrado. Dopo questi tre anni di violenze le truppe serbe
entrarono a Srebrenica senza colpo ferire, ma le milizie bosniache,
forti di 7000 uomini, si diedero alla macchia invece di deporre le
armi come era stato pattuito. I civili fuggirono mentre i militari
cercarono di impedire l'avanzata serba verso Tuzla e in questi
scontri 2000 di loro morirono ... questo è , secondo i serbi, quello
che successedavvero. I bosniaci e i mass media internazionali
gonfiarono la notizia e un mese dopo iniziarono i bombardamenti su
Belgrado. In seguito vennero portate verso Potocari molte vittime di
scontri avvenuti anche a 50km e che non centravano nulla con
Srebrenica. Ecco adesso ho raccontato l'altra parte della medaglia
che mi faceva vedere tutta questa cerimonia del nostro arrivo al
mausolea con un notevole distacco. Lo stesso Alex quando dissi che la
mattina dopo sarei ripartito senza attendere le cerimonie ufficiali
perchè l'atmosfera era troppo triste risposse .”It's not only sad,
it's weird” ...il definire “strana, magica, bizzarra,
soprannaturale” l'atmosfera di questo posto rende abbastanza
l'idea. D'altronde sembra che siano già stati spesi dalla comunità
internazionale 4 miliardi , sì 4 miliardi di €, per la
ricostruzione di Srebrenica dei quali uno solo per il mausoleo che in
effetti cozza decisamente con tutto il contesto. Dove siano finiti
tutti questi soldi non è ben chiaro, certo molte case sono state
riparate, ma la sfilata di SUV e macchine di lusso che incontrerò
andandomene da Srebrenica qualcosa me lo suggerisce.
Intanto
dopo la cerimonia al mausoleo arriviamo alla scuola di Potocari dove
dovremmo dormire. La situazione è di caos totale perchè non siamo
convenuti qui solo noi ciclisti ma anche svariate marce della pace e
molti altri per le cerimonie di domani. Ci piazziamo in un'aula e
per me che faccio il maestro è una sensazione ancora più weird
perchè ritrovo gli stessi cartelloni che facciamo noi in Italia ma
scritti in cirillico. Unica differenza è che invece di avere le
tabelline per la moltiplicazione qui le fanno della divisione...boh,
magari proverò anch'io, magari funziona!
La
banda della pedalata si è nel frattempo dissolta e molti sono saliti
in macchina direttamente per rientrare al paesello. Restiamo noi
della brigata internazionale e qualche altro sfigato che
probabilmente non aveva posti in macchina nè in paradiso e dovrà
tornarsene mestamente a casa in bici. Usciamo per cercare di mangiare
qualcosa ma per me è un brutto posto visto che cuociono animali
morti ovunque e l'odore di carne alla brace è totale. Trovo
l'ennesimo burek e annego la mia gioia nella birra che fortunatamente
non manca. Piove di brutto e faccio la conoscenza con alcuni
partecipanti alla marcia della pace e soprattutto con alcuni ciclisti
serbi che hanno provato a partecipare alla nostra Maraton partendo da
Belgrado ma sono stati fermati per strada dai nazionalisti con la
polizia che li ha invitati a rientrare a casa perchè “la strada
non era sicura”. Per fortuna, ecco dove sono finiti tutti i
soldi..., a Potocari ci sono hotspot wi-fi ovunque e posso scrivere e
leggere notizie nonchè studiare un percorso alternativo a quello del
GPS con il quale non ho ancora fatto la pace dopo l'avventura della
frontiera croata. A proposito ricordo che sono sempre qui da abusivo,
qualcuno mi parla di visti, e la cosa mi preoccupa. Avviso Alexander
che arriverò un giorno prima a Sabac in Serbia e sempre sotto la
pioggia mi rifugio a cuccia per provare a dormire qualche ora.
Alle
prime luci sono in piedi almeno riesco a entrare in bagno, le
condizioni di vita qui sono decisamente “tough” rudi come le
definisce Cyril che intanto, come gli altri della brigata, carica
bici e borse su un pullmino che li riporterà comodamente a Sarajevo
mentre io dovrò smazzarmela in bici, per fortuna ha smesso di
piovere. Ricompatto tutti i miei averi nelle borse e riprendo il mio
vagabondare solitario dopo tre giorni di baldoria bosniaca.Nella
scuola ci sono già svariate persone, non so se sono maestre o
bidelle o altro, che non vedono l'ora che noi ci si levi dalle palle
perciò restare un'altra notte sarebbe stato comunque impossibile,
ripasso davanti al mausoleo dove stanno affluendo un sacco di
persone, infatti,come ho già scritto, questa è La festa nazionale
della Bosnia. Rifaccio a ritroso la strada percorsa ieri e noto che
c'è un poliziotto ogni 500metri visto che in senso inverso al mio
stanno arrivando tutti i boss da Sarajevo naturalmente a velocità
sostenuta e sgommando come usano fare le persone
importanti/arroganti. Sono ben felice quindi quanto all'altezza di
Bratunac gito a destra verso la Drina e mi lascio questo triste
baraccone alle spalle.
La
Drina è un gran fiume che a un certo punto diventa un lago
e mi
porta alla città di Zvornik dove c'è la temuta frontiera. Mi siedo
in un bar del centro perchè devo fare ancora colazione e spendere
gli ultimi BAM quando vengo avvicinato da un tipo losco che parla
italiano e si presenta come un emigrato nel Canton Ticino. Ho
l'impressione che mezza Bosnia lavori all'estero. Lui in verità è
Serbo e mi aiuta comunque a cambiare 20€ in dinari poi attacca
una pezza su quanto si vivesse meglio quando la Yugoslavia era
un'unica nazione e non si dovevano mostrare i documenti per
attraversare il vicino ponte sulla Drina. Noto solo allora che dietro
a noi c'è in effetti un ponte presidiato da una parte e dall'altra
dalla polizia. Mi rispiega la storia della truffa di Srebrenica e di
come gli americani abbiano voluto la fine della Yugoslavia. Poi
prendo il coraggio a due mani e come niente fosse mi avvio verso la
frontiera dove in verità non mi cagano neppure di striscio, solo il
pulotto Serbo scrive sul computer i miei dati che saranno verificati
effettivamente in uscita. Per quel che interessa di me ai bosniaci
potrei anche esser entrato abusivamente scavalcando il filo
spinato...
Una
volta in Serbia verifico che la strada è più o meno sgarrupata come
le altre da queste parti e mi avvio verso nord. Mi fermo a comprare
qualcosa e mi rendo conto che i prezzi sono ancora più bassi che in
Bosnia. La strada alternativa che ho preso funziona bene ed è
pianeggiante, c'è poco traffico e mi sento come uno che si sveglia
da un brutto sogno... e sì che quando pianificavo questo viaggio
temevo che questa sarebbe stata una delle tappe peggiori, invece
tutto fila liscio e nel primo pomeriggio sono nel negozio di bici del
mio primo contatto Warmshowers. Alexander però è a casa e il suo
dipendente ha ordine di offrirmi una birra e di farmi compagnia visto
che parla un po' di inglese. Dopo un'oretta arriva anche il boss che
è un personaggio notevole, è innamorato della bici ed ha fatto vari
giri in Europa e in Asia. Ha ereditato la passione ed il lavoro dalla
madre che aveva appunto un negozio nella zona industriale di Sabac
dove viene scattata questa foto.
Durante il comunismo mi racconta che
tutti andavano al lavoro in bici perciò il negozietto di famiglia
andava a gonfie vele. Poi la crisi aveva morso anche lì, le
fabbriche avevano chiuso e dopo la guerra la situazione si era fatta
sempre più grigia.
Alex
è una persona molto intelligente ed obiettiva, cosa decisamente rara
nei balcani come ho già scritto, anche grazie al fatto che la moglie
è musulmana-bosniaca e lo zio cattolico-croato. Sulla storia di
Srebrenica è molto disincantato: dice che da quelle parti sono 500
anni che continuano a cambiare padrone ogni 50 anni e ad ogni cambio
costuma che i nuovi vincitori massacrino gli altri. Conferma che gli
americani hanno strumentalizzato l'accaduto per completare la
spartizione di uno statopoliticamente indipendente e perciò scomodo.
Non dimentichiamo che nel dopoguerra la Yugo era stata tra le nazioni
trainanti con Cuba, l'Egitto, India e la Libia e altri dei “paesi
non allineati” che abbastanza comprensibilmente costituivano un
gruppo autonomo poco funzionale alle mire imperialiste americane e di
rimessa anche russe. Risulta plausibile tutta la storia che viene
illustrata dal film canadese “The Weight Of Chains” e che viene
sostanziata da anziano pensionato che dà una mano a Alex per campare
visto che ha una pensione di 110 €. Alex mi racconta che la sua
facoltà dove studiava a Belgrado nel 1995 venne chiusa proprio a
causa dei bombardamenti alleati e mi provoca dicendo: guarda che
anche voi in Italia dopo un po' di embargo e fame vera finireste col
prendere le armi in mano...basta distribuire pisole e fucili, alcool,
droghe, notizie tendenziose e fare qualche uccisione mirata ed il
fuoco si attizza alla svelta. Poi si lamenta di come l'Albania, forte
delle rimesse dei mafiosi che vivono in Svizzera, si stia comprando
il Kosovo. A quel punto mi dà una sistemata alla bici, mi accompagna
a fare le spese e mi porta a casa di sua madre perchè lui deve stare
con suo figlio e mi lascia libero. La casa è un delirio totale e
capisco dove sono le 200 bici che Alex si vanta di possedere, basta
qualche foto per rendersene conto.
Però c'è un computer con
internet, una cucina lercia ma piena di cibi nonchè un letto e un
bagno a mia disposizione ovviamente dopo averle liberate da telai,
copertoni, ruote ecc. Per uno che da una settimana non vede che bici
non è forse il massimo ma nella vita bisogna accontentarsi,
d'altronde a caval donato...Oltre a ciò la casa è assediata dai
gattini famelici che Alex mi ha ordinato di non far entrare e infatti
appena apro un po' la finestra la madre entra e faccio una notevole
fatica in mezzo a quel casino a ritrovarla e a convincerla ad uscire
con l'aiuto di una scatola di crocchette.
Al
risveglio mi colaziono e mentre preparo le borse arriva Alex che si è
offerto di accompagnarmi per qualche km non prima di aver visitato il
suo secondo negozio per la famosa foto ricordo. La strada è la
“Magistrala” ovvero la statale che ho percorso ieri e mi spiega
come mai ci siano così pochi ciclisti in Serbia. Le strade
secondarie sono piene di buche e tortuose e quelle principali
infestate da TIR e guidatori non proprio rispettosi. Ne ho
ripetutamente la prova: gli atteggiamenti più pericolosi, che
nascono da un sostanziale “chissenefrega del ciclista” sono due.
Il primo è che in fase di sorpasso, di solito a velocità sostenute,
la presenza di un ciclista che procede in senso inverse non viene
interpretata come buona ragione per non compiere il sorpasso stesso e
ciò vale purtroppo anche per i numerosi TIR. Il che comporta che
almeno tre o quattro volte ho la ributtante sensazione di essere
spazzato da un bestione che mi sorpassa invece a piena velocità ad
appena un metro. Ogni volta si spera che il driver non abbia ecceduto
in birre o grappini locali. La seconda abitudine, corollario della
prima, è che anche quando ti sorpassano sul tuo stesso senso di
marcia sia TIR che macchine non si fanno molti problemi sulla tua
esistenza ovvero se dall'altra parte non arriva nessuno lasciano
anche elegantemente due tre metri d'agio ma se sfortunatamente ciò
non è possibile stringono impietosamente e se questo vedersi passare
un bestione a 70cm. ti da' fastidio, beh caro, spostati tu che io di
certo non mi faccio niente... Nel frattempo entro in Vojvodina che è
la zona nord della Serbia, attraverso per la prima volta il Danubio a
Novi Sad,
ovvero Нови
Сад
, seconda città dello stato, e la lascio molto volentieri perchè è
veramente brutta e moderna.
Verso
mezzogiorno inizia a fare molto caldo quando arrivo a questo bizzarro
ristorante che celebra i fasti dell'antica Yugoslavia con tanto di
altarini dedicati al buon vecchi Jozip Broz Tito.
Il proprietario mi
racconta che il locale sorge proprio al centro dell'ex nazione slava
e qui la nostalgia è così forte che ne hanno fatto una “raison
d'être”, tra l'altro in giro ho visto ancora alcune vecchie Fiat
600 restaurate come simbolo del bel tempo passato.
Mi tocca quasi
recitare la parte del nostalgico anche se mio zio Sava, negli anni di
Tito, è morto dopo essersi fatti 13 anni di galera di cui 6 ai
lavori forzati solo perchè era un artista idealista e dopo la guerra
chiedeva che lo stato divenisse veramente socialista e non una
dittatura. Probabilmente avrei fatto la stessa fine anch'io.
Fatto
sta che tra un sorpasso azzardato e una buca e con l'ottima frutta
venduta a prezzi ridicoli per strada arrivo verso sera al confine
coll'Ungheria. Faccio veramente fatica a spendere gli ultimi dinari e
mi avvios enza troppa gioia a rientrare nella “civiltà”europea.
Lo sbirro ungherese in verità e per la prima volta in vita mia
proclama che qui ci vuole un bel controllo ai miei bagagli per
verificare che non stia importando chissà quale derrata in Europa.
Arriva il giovane doganiere al quale basta un'occhiata per capire che
non ho proprio niente di illegale e mi fa passare. Questo è bene
perchè è quasi sera e devo scovare il mio contatto Warmshowers che
vive in un paesino vicino alla frontiera sul quale le indicazioni
sono un po' vaghe. Arrivo in un bar dove cozzo subito con la triste
babele linguistica magiara: su quattro ragazzi nessuno capisce una
parola di inglese nè io capisco alcunchè di un linguaggio astruso
come l'ungherese.
Per fortuna la barista conosce un po' di italiano
ma quando le dico il nome della mia ospite alza gli occhi al
cielo...inizio a preoccuparmi ma stanano un personaggio che sembra
uscito da un fumetto dei Freak Brothers che mi accompagna in motorino
fuori dalla casa della tipa. Definirla casa è però un eufemismo
visto che è una stamberga circondata dal caos indescrivibile, in più
non c'è traccia di vita. Chiamo un po' ed esce un tipo che appena
nomino la ragazza si mette a piangere riuscendo a dire solo
“Hospital”. Capisco che la cosa è seria, saluto e risalgo in
bicicletta. La tizia mi scriverà qualche giorno dopo dicendo di
essere in via di guarigione, non so bene da cosa, e che era uscta
dall'ospedale seppur camminando come una 70enne.
In
verità siamo vicino a Mohacs, cittadina popolosa ma ahimè
posizionata oltre al Danubio che qui è bello largo e si può
attraversare solo in traghetto. Mentre rimugino su quanto avvenuto
vedo che c'è un B&B dal nome inquietante di Viator Crux ma non
ho scelta e quando scopro che il proprietario parla un ottimo inglese
avendo vissuto qualche anno negli USA decido che è il mio posto. Mi
propone anche di preparare una cena ma quando gli dico che sono
vegetariano si blocca. Appena entro in casa capisco: già gli
Ungheresi sono carnivori di loro in più questo è un cacciatore
sfegatato come testimoniano le decine di trofei che campeggiano in
casa.
Ma hanno l'orto e la moglie mi prepara un'ottima insalata che
mi spazzolo al volo. Mi offrono anche una birra che non rifiuto
perchè non vorrei che la notizia che oltre ad essere vegetariano
sono anche astemio avesse risultati funesti. Gli altri ospiti della
stamberga sono infatti tre gnomi che lavorano nella foresta, non si
capisce bene a fare cosa, e si alzano presto alla mattina... vengono
a turno al tavolo dove sto mangiando, sotto l'occhio minacciso di uno
stambecco impagliato per salutarmi e squadrarmi. Il proprietario mi
chiede di scrivere qualcosa sul libro degli ospiti che però è
sconsolatamente vuoto. Mi spiega che hanno appena aperto l'attività
e mi chiede qualche consiglio: gli spiego l'importanza di TripAdvisor
ma l'atmosfera continua a essere strana: mi sembra di essere in una
scena come quella del film “Tre uomini e una gamba” quando i
cacciatori di "terroni" fanno la famosa domanda trabocchetto“Oh,
prendi una cadrèga” insomma sarò prevenuto ma tutti questi
trofei mi danno sui nervi.
La
mattina dopo non faccio molta fatica a svegliarmi, come ogni buona
casa di campagna la corte pullula infatti di galline e ovviamente,
di galli che alle prime luci iniziano a far gara di canto. Forse farà
parte del locale rituale di corteggiamento o forse la vita della
foresta li avrà particolarmete dotati comunque fanno un baccano
assordante. Preparo le borse e scopro che per fortuna i troll non si
sono mangiati la mia Giant durante la notte e monto in sella per
l'ultima tappa della mia marcia di avvicinamento: 230 km che tanto
l'Ungheria è tutta piatta. A parte la falsità , come verificherò
abbondantemente durante la randonnèe, di tale pregiudizio le strade
qui sono abbastanza buone, la foresta è splendida e complice il
fatto che siamo di domenica mattina, non c'è neppure traffico.
Riattraverso il Danubio dopo Baja e appena trovo un supermercato
aperto mi fiondo a far spesa. I prezzi sono notevolmente più alti ma
trovo delle ciliegie ottime, mangio e bevo sulle panchine esterne al
Tesco e riparto gasatissimo. La parte finale del viaggio è
abbastanza tranquilla e vengo risvegliato dal torpore delle ore più
calde, e che caldo!!, quando scorgo a bordo strada alcune pianta
dalla foglia conosciuta. Mi fermo a controllare ed è proprio
marijuana e ce n'è per km interi.
Inizialmente penso sia qualche
piantagione illegale sfuggita di mano ma poi capisco che si tratta
probabilmente di cannabis sativa che viene o veniva coltivata con
fini molto diversi da quelli che resero famosa la varietà indica
negli anni 70...comunque fa un certo effetto vedere il bordo di una
strada ungherese orlato dalla pianta sacra a Shiva manco fossimo a
Manali. Scorgo alla fine delle coltivazioni questo castello
eclettico,
mi sa che l'architetto ne fumava anche lui di ganja...
Negli
ultimi km costeggio il lago Balaton e naturalmente la combinazione di
domenica pomeriggio e gran caldo fanno sì che il traffico sia
notevole. Il GPS cerca di farmi un ultimo scherzo quando mi istrada
per una mulattiera di montagna ma ormai non ci casco più e mi getto
sullo stradone principale per Veszprem.
E'
pur vero che lo stesso stradone, che all'inizio non recava segni di
divieto ,a metà diventa praticamente un'austostrada severamente
vietata alle bici. Dopo tutte quelle che ho visto in questi 8 giorni
per 1400km di Balcani oramai non mi spavento più di niente e filo
dritto verso il mio Magister Hotel che raggiungo verso le 17
incurante di divieti e macchine che sfrecciano ai 150.
Ce
l'ho fatta e la prima parte,del mio viaggio balcanico, la più
pericolosa sicuramente, è passata e sono strafelice tanto che non mi
incazzo neppure quando scopro che mi hanno dato una stanza sporca
anche se che mi devo trascinare tutto il mio carico su e giù per
questi lunghi corridoi. Mi danno un'altra stanza questa volta con il
wi-fi, ho un bagno per me, una mini cucina e mi sento un re: è
proprio vero che nella vita basta imparare ad accontentarsi per poter
essere felici...le stesse semplici cose quotidiane che di solito
disprezzi dopo pochi giorni di ristrettettezze ti riscaldano la
vita...bisogna essere poveri ogni tanto per sapere di essere ricchi.