Diventerò un vero randonneur da
grande? Forse sì e forse no...
La fine/inizio dell'anno mi portano
naturalmente a fare dei riepiloghi, delle valutazioni sulla stagione
passata e delle previsioni su quella a venire. Intanto noto che nel
2012 ho pedalato molto, forse troppo, 23000 mila km sono mezzo mondo
e 1000 ore equivalgono a 40 giorni di fila passati in sella. Sono
stato fortunato : mia moglie non mi ha cacciato di casa e casualmente
faccio un lavoro, il maestro, che mi concede ampio tempo libero. Non
ho mai avuto incidenti e ho percorso più di 4000 km in randonnee,
era il mio primo anno e devo ammettere che mi sono impegnato e
divertito molto ma ho avuto anche le mie belle soddisfazioni. In
questi giorni sono vicino a Pitigliano dove pochi mesi fa sono
passato nel corso della 1001 miglia e devo dire che quel brevetto ha
fatto un po' da spartiacque nella mia esperienza randagia: continuo a
pensare che i giri da 200 km non siano da considerare vere rando ma
tuttalpiù allenamenti o sgambate preparatorie. Anche le 600 come la
VeronaResiaVerona o il Tourblanc alla fine sono poco più che delle
belle passeggiate cicloturistiche: il vero brevetto resta quello sopra i 1000
km.
Mi rendo conto che se avessi letto una
affermazione del genere un anno fa l'avrei considerata una spacconata
tanto per vantarsi al bar con gli amici, ma solo dopo un paio di
notti passate in sella si inizia a saggiare la capacità di resistere
e soffrire, ma anche di gioire, che rendono uniche queste avventure.
Come spesso capita per le emozioni più profonde non esiste altro
mezzo che provarle sulla propria pelle per rendersene conto.
Quello che mi ha piacevolmente
sorpreso, ripensandoci, è l'avere pedalato e parlato con randagi di
altre nazioni e rimane forse il rammarico di non averlo fatto di più
ma, per ovvie ragioni, sulle salite toscane a 42° non è che
avessimo molto fiato da sprecare. Ho comunque potuto constatare come
esistano davvero molte differenti prospettive per affrontare un
brevetto ma come sia sostanzialmente giusto continuare a far
convivere l'anima “agonistica” e quella cicloturistica. So che
c'è molto dibattito su questo aspetto ma mi sembra più una menata
italiana: la Parigi-Brest nasce ad esempio come gara e nessuno in
Francia si stupisce che molti la intendano tuttoggi così, il
problema semmai è dato dall'enorme differenza tra chi pedala in
solitaria e chi può appoggiarsi su un'assistenza più o meno
strutturata. Ecco su quello sarei drastico vietando ogni forma di
aiuto esterno anche visto che oramai tra bag-drop e punti ristoro
ogni 4/5 ore l'assistenza c'è già per tutti. Insomma se viene
accettata la versione corsaiola credo sia ingiusto fare una stessa
classifica tra chi pedala senza borse e alla fine di una tappa sale
su un comodo camper e chi si porta dietro tutto e deve arrabattarsi
tra cremine, cibi, vestiti e GPS.
Sì perchè quello che rende tutta
tonda l'esperienza rando è questa capacità logistica e
organizzativa che nasce da lontano, nelle lunghe ricerche invernali
sulle luci, le pile, il gps, la bici, la sella, i vestiti ecc, ecc.
Risulta abbastanza facile salire su una bici da corsa e farsi il
classico giro della domenica da 4-5 ore con banana, giacca e via,
invece decidere l'equilibrio ideale tra confort e peso delle borse è
un'arte a se stante. Qui l'esperienza è fondamentale ed è bello
mettersi alla prova, trovare soluzioni individuali che rendono ogni
rando-bici diversa dall'altra. Se guardi una normale granfondo o
anche il giro della domenica in gruppo farai fatica a notare delle
differenze sostanziali tra i vari partecipanti ma se fai un giro
prima di un brevetto over 1000 noterai subito le diverse filosofie
che sprizzano da ogni bici e da ogni randagio. Credo che queste
storie, questi quadri in movimento rappresentino proprio la bellezza
e l'unicità del randagio, del ciclista che sfida il buon senso e la
normalità del quotidiano vivere e pedalare per provare ad andare
oltre, scoprendo che questi presunti limiti non sono che alcune delle
convenzioni, delle maschere dietro le quali viviamo la nostra vita
massificata. Pedalare così diventa, se mi si passa la metafora, una
forma d'arte anzi una delle forme d'arte più pure nelle quali le
emozioni, la gioia, il dolore non sono finte, non sono rappresentate
e simulate ma interiormente vissute. Capisci così come mai un
australiano o un brasiliano possano attraversare l'oceano per fare un
giro in bicicletta che non rappresenta tanto o solo una bella scusa
per vedere da vicino una pezzettino del mondo ma una tappa nella
propria crescita, un tipo di sfida che è difficile trovare da quando
draghi alati, castelli incantati e principesse non si incontrano più
tanto facilmente tra le scale mobili della metropolitana o nelle
aride pagine dei social network...
E' l'alba, inizia un nuovo giorno,
inizia un nuovo anno. Spero di riuscire a completare la
LondraEdimburgoLondra e conto di attraversare l'Europa in bicicletta
per arrivare da Carpi al Royal Mile...andiamo quindi nuove avventure
ci attendono.
Ciao, sono Alfredo della Baracca e mi sono permesso di segnalare il tuo articolo ad un mio amico ciclista che sul suo blog l'ha pubblicato, spero che la cosa non ti dispiaccia.
RispondiEliminaA presto.
http://www.admaiorabike.blogspot.it/