domenica 6 gennaio 2013

Un anno da randagio-considerazioni sparse


Diventerò un vero randonneur da grande? Forse sì e forse no...

La fine/inizio dell'anno mi portano naturalmente a fare dei riepiloghi, delle valutazioni sulla stagione passata e delle previsioni su quella a venire. Intanto noto che nel 2012 ho pedalato molto, forse troppo, 23000 mila km sono mezzo mondo e 1000 ore equivalgono a 40 giorni di fila passati in sella. Sono stato fortunato : mia moglie non mi ha cacciato di casa e casualmente faccio un lavoro, il maestro, che mi concede ampio tempo libero. Non ho mai avuto incidenti e ho percorso più di 4000 km in randonnee, era il mio primo anno e devo ammettere che mi sono impegnato e divertito molto ma ho avuto anche le mie belle soddisfazioni. In questi giorni sono vicino a Pitigliano dove pochi mesi fa sono passato nel corso della 1001 miglia e devo dire che quel brevetto ha fatto un po' da spartiacque nella mia esperienza randagia: continuo a pensare che i giri da 200 km non siano da considerare vere rando ma tuttalpiù allenamenti o sgambate preparatorie. Anche le 600 come la VeronaResiaVerona o il Tourblanc alla fine sono poco più che delle belle passeggiate cicloturistiche: il vero brevetto resta quello sopra i 1000 km.
Mi rendo conto che se avessi letto una affermazione del genere un anno fa l'avrei considerata una spacconata tanto per vantarsi al bar con gli amici, ma solo dopo un paio di notti passate in sella si inizia a saggiare la capacità di resistere e soffrire, ma anche di gioire, che rendono uniche queste avventure. Come spesso capita per le emozioni più profonde non esiste altro mezzo che provarle sulla propria pelle per rendersene conto.
Quello che mi ha piacevolmente sorpreso, ripensandoci, è l'avere pedalato e parlato con randagi di altre nazioni e rimane forse il rammarico di non averlo fatto di più ma, per ovvie ragioni, sulle salite toscane a 42° non è che avessimo molto fiato da sprecare. Ho comunque potuto constatare come esistano davvero molte differenti prospettive per affrontare un brevetto ma come sia sostanzialmente giusto continuare a far convivere l'anima “agonistica” e quella cicloturistica. So che c'è molto dibattito su questo aspetto ma mi sembra più una menata italiana: la Parigi-Brest nasce ad esempio come gara e nessuno in Francia si stupisce che molti la intendano tuttoggi così, il problema semmai è dato dall'enorme differenza tra chi pedala in solitaria e chi può appoggiarsi su un'assistenza più o meno strutturata. Ecco su quello sarei drastico vietando ogni forma di aiuto esterno anche visto che oramai tra bag-drop e punti ristoro ogni 4/5 ore l'assistenza c'è già per tutti. Insomma se viene accettata la versione corsaiola credo sia ingiusto fare una stessa classifica tra chi pedala senza borse e alla fine di una tappa sale su un comodo camper e chi si porta dietro tutto e deve arrabattarsi tra cremine, cibi, vestiti e GPS.
Sì perchè quello che rende tutta tonda l'esperienza rando è questa capacità logistica e organizzativa che nasce da lontano, nelle lunghe ricerche invernali sulle luci, le pile, il gps, la bici, la sella, i vestiti ecc, ecc. Risulta abbastanza facile salire su una bici da corsa e farsi il classico giro della domenica da 4-5 ore con banana, giacca e via, invece decidere l'equilibrio ideale tra confort e peso delle borse è un'arte a se stante. Qui l'esperienza è fondamentale ed è bello mettersi alla prova, trovare soluzioni individuali che rendono ogni rando-bici diversa dall'altra. Se guardi una normale granfondo o anche il giro della domenica in gruppo farai fatica a notare delle differenze sostanziali tra i vari partecipanti ma se fai un giro prima di un brevetto over 1000 noterai subito le diverse filosofie che sprizzano da ogni bici e da ogni randagio. Credo che queste storie, questi quadri in movimento rappresentino proprio la bellezza e l'unicità del randagio, del ciclista che sfida il buon senso e la normalità del quotidiano vivere e pedalare per provare ad andare oltre, scoprendo che questi presunti limiti non sono che alcune delle convenzioni, delle maschere dietro le quali viviamo la nostra vita massificata. Pedalare così diventa, se mi si passa la metafora, una forma d'arte anzi una delle forme d'arte più pure nelle quali le emozioni, la gioia, il dolore non sono finte, non sono rappresentate e simulate ma interiormente vissute. Capisci così come mai un australiano o un brasiliano possano attraversare l'oceano per fare un giro in bicicletta che non rappresenta tanto o solo una bella scusa per vedere da vicino una pezzettino del mondo ma una tappa nella propria crescita, un tipo di sfida che è difficile trovare da quando draghi alati, castelli incantati e principesse non si incontrano più tanto facilmente tra le scale mobili della metropolitana o nelle aride pagine dei social network...
E' l'alba, inizia un nuovo giorno, inizia un nuovo anno. Spero di riuscire a completare la LondraEdimburgoLondra e conto di attraversare l'Europa in bicicletta per arrivare da Carpi al Royal Mile...andiamo quindi nuove avventure ci attendono.

1 commento:

  1. Ciao, sono Alfredo della Baracca e mi sono permesso di segnalare il tuo articolo ad un mio amico ciclista che sul suo blog l'ha pubblicato, spero che la cosa non ti dispiaccia.
    A presto.
    http://www.admaiorabike.blogspot.it/

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