La parola che, secondo me, meglio
sintetizza la seconda edizione della randonnée Verona-Resia-Verona è
"ponte": perchè indubbiamente la valle dell'Adige
rappresenta un ponte tra Padania e Alpi, perchè il passo Resia è un
ponte naturale verso Austria e Svizzera, perchè di ponti sopra
l'Adige ne abbiamo passati a pacchi, perchè un ponte, quello di
Brest, resta comunque il simbolo di questa folle passione e last but
not least perchè proprio di un ponte avrei avuto bisogno la mattina
di sabato 21 luglio per uscire di casa e iniziare questa nuova
avventura.
Vale proprio la pena di raccontare come
sono arrivato alla partenza: ero gentilmente ospitato a casa di amici
tatticamente abitanti a 300mt dalla partenza, sveglia alle 4,
colazione pantagruelica e via verso la bici già pronta....peccato
che la bella porta in ferro battuto di casa non ne voglia sapere di
aprirsi, provo per qualche minuto con intensità sempre maggiore
ottenendo solo il risultato di spannare definitivamente la serratura.
A questo punto tiro giù dal letto il padrone di casa, visibilmente
entusiasta per la sveglia antelucana e per la bella notizia della
porta rotta. Anche lui vaga per la casa come uno spettro
Shakespeariano alla ricerca delle chiavi e alla fine da buon
veronese, gente da sempre esperta in scale e balconi, mi invita a
levarmi dalle palle indicandomi la finestra della cucina. Per fortuna
siamo al primo piano, mi calo su un tetto e poi mi scartavetro su un
lavandino dopo aver buttato la sacca con i miei stracci. Insomma in
qualche modo riesco a uscire mentre loro dovranno chiamare i vigili
del fuoco per farlo e in questo stato d'animo" a là Indiana
Jones" mi trascino verso il Palazzo dello sport dove i primi
randagi sono già in partenza. Saluto qualche faccia nota mentre
molti altri che so essere presenti non li vedo...qualcuno lo
incontrerò strada facendo mentre altri faranno un giro parallelo.
Meno male che comunque avevo già provveduto nel pomeriggio alle
burocrazie dell'iscrizione così riesco a partire col secondo
gruppetto cosa che mi permette di trovarmi in pochi minuti col
gruppone dei primi. Certo perchè, alla faccia della presunta non
competitività delle rando, quelli del secondo gruppo partono a
manetta col chiaro intento di non restare staccati e ci troviamo
subito ai 35 all'ora a slalomare tra i pali delle ciclabili veronesi.
Queste sono veramente tante e anche molto trafficate, come scopriremo
la domenica mattina al rientro, ma alle 5 siamo liberi di
arrampicarci tra ponticelli passaggi da andrenalinic-park e strappi
micidiali per raggiungere il lago di Garda. Qui spira una brezza
contraria che convince tutti a mettersi a ruota, ciucciando con
parsimonia le scie dei colleghi anche se in molti non tirano neppure
un metro. Lo sguardo di tutti vaga alternativamente tra strada e
cielo visto che la grande incognita del giorno è rappresentata dalle
preoccupanti previsioni meteo. Considerando che quella della
meteorologia è una delle mie passioni, quasi un obbligo per chi
passa varie ore in bici, mi ritrovo con piacere a confrontarmi con un
esperto randagio che mi assicura di fidarsi solo delle previsioni
svizzere che sono tanto ottimiste da convincermi al volo. Il problema
è rappresentato dalla discesa serale-notturna da passo Resia, zona
notoriamente fresca di suo, ma che sarebbe decisamente critica in
caso di acquazzone. Va bene prendere acqua sulla ciclabile della Val
d'Adige, cosa che succederà più tardi, ma in discesa a 1500mt sono
kazzi...Comunque poco sotto Rovereto ci immettiamo sulla famosa
ciclabile della val d'Adige dove possiamo per l'appunto vedere le
tracce di una tempesta di grandine che ha spolpato le vigne, ha
divelto alberi e riempito la ciclabile di rami di acacie con relative
spine, pericolosissime fora-tubolari. Ne sa qualcosa un randagio
valdostano che incontro salendo verso Resia, e che già al Tourblanc
aveva dovuto inseguire causa foratura nei primi chilometri, il quale
gira conciato come un ciclista vintage-eroico con un copertone
arrotolato sulla schiena dopo aver forato due volte proprio in quella
zona.
Dopo il bicigrill di Nomi arriviamo
comunque a Trento e qui mi capita la seconda avventura. Come al
solito eravamo fuori dalla traccia con un gruppetto di quelli che
"vanno a naso" senza road book nè GPS, decido allora in
solitaria di crossare sulla sinistra per tornare sulla retta via ma
mi trovo su un ponte che scavalca elegantemente la sottostante pista
ciclabile: che fare? vedo poco avanti un nuovo ponte e decido di
proseguire ...peccato che la strada sia un provincialone vietato alle
bici. Mi avventuro così su un tratturo di campagna che porta alla
discarica comunale, poco male se non fosse che dopo aver issato di
forza la bici sulla strada scopro che la zona è tutta un
lavori-in-corso e lo è anche il mio agognato ponte. Lo raggiungo e
scopro che è ancora allo stato scheletrico come potete vedere dalla
foto.
Evidentemente non mi do per vinto ma quando già pregusto il
ritorno sulla ciclabile, sulla quale vedo sfrecciare a pochi metri
ciclisti di ogni fattezza, scopro che la fine del ponte è stata
chiusa con cura da impenetrabili reticolati di ferro, manco fossimo
in guerra. Sotto passa l'Adige, anche bello in piena, e non so
letteralmente che fare. Di tornare indietro comunque non se ne parla
così scaravento il ciclo fuori dal parapetto e sempre tenendolo con
una mano mi esibisco in un passaggio di quinto grado degno di
Messner. Basta un niente perchè io e la bici si precipiti nell'Adige
in piena col rischio di essere ripescati verso Castelvecchio a Verona
con l'effetto tipo "torna alla partenza"del gioco dell'oca.
Per fortuna va tutto bene e trovo un gruppetto che sta risalendo
verso il secondo controllo di Salorno. Qui la condizione meteo si fa
preoccupante e molte sono le previsioni sulle conseguenze del
temporale che già inonda la Val di Non. In ogni caso a breve le
nostre ipotesi sono sommerse da un muro d'acqua che ci inonda appena
entrati in zona sud-tirolese ovvero appena varcato il "confine"
di Mezzocorona. Al bicigrill di Salorno vedo che molti navigati
randonneur se la prendono giustamente comoda, cogliendo l'occasione
per una bella mangiata, io invece proseguo alla caccia di altri
randagi visto che ho stabilito di arrivare abbastanza velocemente a
Merano per prendermela più comoda dopo. Mi infilo quindi sulla
variante verso il lago di Caldaro sulla quale, e qui condivido i
dubbi di Parakito, ho l'impressione che più di un partecipante non
sia transitato. Chittelofaffà infatti di infilarti sulle strette e
irte ciclabili che scorrono tra meleti quando c'è una comoda
ciclabile-provinciale che sale a Merano? Quelli che sicuramente non
demordono sono gruppi di ciclo-viaggiatori di fattezze
prevalentemente nord-europee che pedalano come niente fosse sotto la
pioggia. Chapeau per loro e per il mio nuovo campanello che sfoggio
ad ogni gruppetto familiare venendo ripagato dallo sforzo per
montarlo.
Prima di Merano uno del nostro
gruppetto, visto che nel frattempo ha smesso di piovere, decide che
per riscaldarsi non c'è cura migliore che "alzare un po'
l'andatura" ci ritroviamo così ai 40 all'ora dietro a questo
stantuffo raffreddato nella speranza che si scaldi al più presto.
Arriviamo comunque verso le 13 e 30 Merano non prima di non esserci
persi svariate volte alla ricerca del famigerato Athletic Club. Lì
vedo che qualcuno timbra, mangia un panino e via verso passo Resia e
onestamente non so se ammirarli o biasimarli...ancora così fradici,
senza neppure cambiarsi...boh ognuno comunque interpreta il viaggio
come vuole. Personalmente mi fermo circa un'oretta, mangio qualcosa
che mi ero portato, mi cambio e riparto verso la parte più dura del
percorso.
La salita a passo Resia viene descritta
come ripida all'inizio, poi pianeggiante poi ancora dura nel finale.
Io riesco ancora a perdermi uscendo da Merano visto che le tracce
GPS si incrociano ma poi mi trovo sulla splendida ciclabile che porta
alla Val Venosta. Sono felice mentre pedalo tra paesini curati,
boschi e montagne su una bella ciclabile: è bello vedere che c'è
ancora qualche zona, quasi italiana...che apparentemente funziona ed
è ben tenuta. Il controllo di Lasa è su uno splendido laghetto con
tanto di timbratice in costume tirolese. Sarà il nome del paese, la
mia maglia "Free Tibet" o la vista del convento di Santa
Maria Maria a Burgusio che mi ricorda il Potala ma ho quasi
l'impressione di essere in un distaccamento Tibetano.
Mi riportano
alla cruda realtà le micidiali sparate della salita, onestamente un
po' eccessive per dei randagi carichi come muli dopo 300km. Al
ritorno noto infatti che molti preferiscono salire sulle sinuose ma
decisamente più pedalabili curve della strada statale. Pure io,
anche se per errore e seguendo l'eroico valdostano di cui sopra, mi
ritrovo a fare qualche tornante sotto le pale delle turbine che
rovinano ulteriormente una zona già ampiamente deturpata dall'uomo
che vi ha piazzato un lago artificiale il quale ha sommerso , tra
l'altro, la famosa chiesetta di Curon. Ma è poi vero che tutti
usiamo l'elettricità e da qualche parte bisogna comunque produrla...
La serata è splendida e scoprirò solo
al ritorno che in effetti la val Venosta è la zona meno piovosa
dell'arco alpino e che grazie a questa caratteristica le mele locali
sono così croccanti. Al controllo mi concedo un bel piatto di penne
al pomodoro anche perchè sento di avere un netto calo di zuccheri.
Indosso tutto quello che ho nelle borse e non mi sbaglio perchè la
fama di zona fresca non è immeritata e anche sono solo le 19 fa già
freddo in discesa, non mi stupisce che fra quanti sono passati più
tardi ci sia stato un caso di ipotermia. Rientro verso la zona di
Malles che trovo molto piacevole mentre nell'immaginario collettivo
degli Alpini bergamaschi la locale caserma era considerata come
l'anticamera dell'inferno. Glorenza è ancor più bella e la mia
personale fascinazione verso la val Venosta viene accresciuta dalla
constatazione che spira un bel vento a favore, vento da nord che mi
accompagnerà piacevolmente lungo quasi tutto il ritorno.
Dopo il ricontrollo di Lasa decido che
la ciclabile è una bellissima invenzione di giorno, in salita o in
pianura, con la famiglia ecc. ma di notte e in discesa è meglio la
classica statale seppur trafficata . Della mia stessa opinione
sembrano essere altri stagionati randagi con i quali scendo fino a
Merano. Qui la palestra dell'Athletic Club si è trasformata in un
surreale dormitorio con ciclisti addormentati tra panche, rulli e
bilancieri. Decido che sto bene e voglio pedalare da solo nella notte
così mi do una risciacquata, mangiucchio qualcosa, mi vesto un po'
più pesante e mi srotolo verso Bolzano per la parte finale del giro.
Riesco ancora a perdermi per uscire da Merano, Teufel!!, e
contemporaneamente constato che la catena è totalmente secca. Non ho
olio perciò mi fiondo in un ristorantino che sta chiudendo e chiedo
ad una famiglia di Schützen
se hanno un po' di olio da cucina da imprestarmi. I tirolesi guardano
tra l'incredulo e lo sdegnato l'Orribile Ciclista Notturno Italiano e
mi squadrano come un marziano...mi sembra di essere Aldo nella famosa
scena della "Cadrega" nel fil 3 uomini e una gamba. Per
fortuna viste anche le 4 parole 4 di tedesco che sfoggio mi concedono
un fondo di bottiglia di olio da friggere che per me è oro colato.
Il padrone esce per sincerarsi delle mie attività oliatorie e credo
di leggere nel suo cervello cosa pensa di un disperato cinquantenne
che passa il sabato notte a pedalare anche perchè è anche quello
che mi ripete mia moglie: tu si pazzo!!
Comunque con la mia catena bella oliata
e il vento a favore scendo verso Bozen a manetta, imbocco bene la val
d'Adige e scendo in solitaria ai 30km/h verso il controllo di
Salorno. L'Adige è lì tranquillo ma verso Egna non posso non
ricordarmi le toccanti parole scritte in memoria di una fatale
alluvione all'ingresso della casa dove avevo trovato, in gioventù,
lavoro come raccoglitore di mele:(mi perdonino gli amici veneti per
gli errori ortografici...)
Da quand ch'al vecio Ades
l'ha sbregà fora i tomi
sem pieni de pacioca
no i vien p'ù gnanca i Pomi
traduzione : Da quando il vecchi Adige
ha rotto gli argini siamo pieni di fango e non ci sono più neanche
le mele...
Trovo il controllo di Salorno
decisamente più sguarnito, ora al timbro ci sono due ragazzotti più
o meno alticci e continuo subito per la mia discesa; a San Michele
non posso non fermarmi per immortalarmi sotto al ponte Calatravante
che offende l'Adige.
A Nomi invece il controllo con l'ipotetico
ristoro è composto da un misero timbro autogestito, tutto chiuso
troveremo anche all'ultimo controllo "segreto", meno male
che ho le mie scorte. La salita di Brentonico della quale si era
tanto parlato si riduce in 6-7 km pedalabili in un alba splendente,
piuttosto mancano assolutamente le indicazioni come pure il senso di
questa salita sui contrafforti del monte Baldo per poi rituffarci
subito verso l'Adige...forse sarebbe stato meglio rimane in quota e
scendere più avanti, piuttosto che inserire gli strappi tagliagambe
vicino a Verona come quello della Dogana.
Ho fatto una piccola inchiesta e quasi
nessuno di quelli arrivati con me aveva seguito le indicazioni del
Roadbook trovando decisamente più comodo tirare dritto verso Verona
evitando stradine strette, pericolose a causa dei sassi e della
ghiaia nonchè ipertrafficate da mandrie di manzi da granfondo
intenti nella sgambata della domenica mattina. Insomma in una rando
tanto ben organizzata credo che il percorso nel finale vada un poco
rivisto...capisco la volontà geografico-didattica di seguire il
corso del "vecio Adès" dalla sorgente all'Arena ma credo
che il randagio standard dopo 550 km e magari una notte in bianco
alle bellezze esplorative preferisca una pianeggiante &
tranquilla strada anche non ciclabile che lo conduca verso l'agognata
doccia finale.
Rientro al Palasport verso le 10 e dopo
un'ottima doccia e un buon ristoro sono pronto al ritorno all'ovile,
anche questa 600 è andata e ora sono pronto per smazzarmi la 1001
miglia...che la Scala di Verona di assista...
Avventurosa la tua V.R.V
RispondiEliminalEGGO E ASCOLTO.....la V.R.V.è una rando unica quando lo partorita ho sempre pensato che il percorso deve essere alla portata di molti.
Poi ognuno la interpetra come crede !!!
Devo dire che il finale per i meno allenati diventa complicato,hai ragione e farò tesoro se si rifarà.
Ma mi permetto di dire che dobbiamo crescere e vivere le rando come devono essere vissute.
1) in base alla propria gamba !
2) Avere il file gps e/o road book e leggerlo sempre....con un road book così uno non puo perdersi !
3)Non saltare parte del percorso volutamente perche si conosce la strada....di randagio c'è poco e poi ci sono 40 ore di tempo....dove si vuol andare(classifica non esiste tempi non vengono pubblicati)è una randonnèe
4)lo spirito randagio è dentro di noi nella nostra anima, non importa quanto tempo impieghi lento o veloce...cazzate
5)fermarsi se uno ha bisogno non come la ventina di persone che erano assieme al povero Luigi !!!
6)ammirare madre natura non il culo di quello che hai davanti e slegarsi dal tempo e pedalare in base alla propria gamba e al tempo massimo.
concordo concordo Giorgio , il tempo basta e avanza per fara come da programma , pure per fermarsi a riposare se la gamba dovesse mostrare segni di sedimento.
RispondiEliminaTu di gamba ne hai in abbondanza , come ancora lo spirito agonistico , che sarà da tenere a bada alla 1oo1 migliaia perché una notte senza sonno ,il corpo la sopporta ,ma piu notti di seguito sono un altra cosa anche la mente vacilla .
Ci siamo passati tutti , con il tempo ,aprezzerai di più losservare , no sto parlando dell'orologgio .
Ad esempio io mi diverto ad osservare le sensazioni degli altri randagi che insppiegabilmente trovo più divertiti quelli che stanno nelle retrovie .
Buona 1001 migliaia magari prova a partire con gli ultimi .
Ciao da Silvano " PARAKITO " .