Nel corso del mio viaggio di
avvicinamento verso i meandri della sado-follia umana nonchè della
1001 miglia mi sono trovato ad affrontare il problema della 600 km,
brevetto appunto necessario per potersi iscrivere alla succitata
randonnee, una fachirata da 1600 km a zonzo per l’Italia da coprire
in massimo 135 ore nel fresco del Ferragosto!
Avevo previsto di partecipare alla
rando di Castelfranco del 9 giugno ma il 29 maggio, durante il
consueto giretto nella bassa modenese, sento la bici che mi salta via
e contemporaneamente una forte ventata .Continuo a pedalare ma inizio
a notare che la gente è tutta per strada che guarda preoccupata la
propria abitazione, quando dopo pochi minuti vedo che la facciata
della pizzeria dopo Ponte Pioppa è sbriciolata in mezzo alla strada
capisco che questa scossa è stata pesa. Quando entro a Cavezzo trovo
una scena da tragedia: case e capannoni sbriciolati, gente in lacrime
e caos totale nelle strade. I cellulari non funzionano. Panico, mi
sento totalmente fuori luogo con la mia bici da corsa in mezzo a
questo inferno perciò scappo ipnotizzato dalla scena di distruzione
che mi scorre davanti agli occhi per cercare la mia famiglia. Per
fortuna stanno tutti bene e anche le nostre case sono ancora in
piedi, purtroppo come sapete le scosse continueranno riuscendo a
togliere sicurezze e pace a tutti. Solo chi lo ha vissuto può capire
come un terremoto scavi in profondità insinuando crepe nei muri e
nelle menti: è evidente come in questa condizione avessi altro in
mente che andare in bici per preparare la 600 di Castelfranco.
Nei giorni successivi al botto il sisma
continua a essere una presenza così invasiva che in certi posti di
lavoro iniziano a comparire cartelli “Vietato parlare del
terremoto”. Così anch’io, chiuso con triste anticipo l’anno
scolastico, torno, tra i cazziatoni di mia moglie, al mio futile
brevetto per la 1001 miglia. Chiodo scaccia chiodo. Per il 23 giugno
avevo già da tempo addocchiato la Randonnee del Bianco, partenza da
Biella e a seguire Val d’Aosta, Francia e Svizzera per rientrare,
forse, in Italia dopo essersi scammellati oltre 10000mt di
dislivello. Se non è follia questa…
Beh comunque se ce la fanno gli altri
perché non dovrei riuscirci anch’io? In fin dei conti nelle
fotografie delle edizioni precedenti vedo persone normali, ciclisti
appassionati ma non Supermen e poi il panorama da mozzafiato, penso,
mi darà una spinta in più.
Il primo contatto con l’ambiente di
Biella è sulla terrazza del ristorante Atena dove la cena
pre-partenza viene elegantemente servita in una rilassata atmosfera
che non lascerebbe presagire che quella trentina di ciclo-fachiri
presenti dopo qualche ora sarebbe stata alle prese con alcune delle
più dure salite della propria vita. Alle 22 dopo le ultime
indicazioni, che, seppur fondamentali. pochi ascoltano e ancor meno
capiscono, si parte.
( Mi piacerebbe qui inserire una
digressione su come gli organizzatori di queste ciclo-torture, se ne
arrivino beati col megafono al punto di partenza mentre uno sta
rimuginando se ha preso tutto e soprattutto cosa sta facendo lì e
illustrano in 5 minuti tutte le modifiche al tracciato tipo"da
Poggibonsi alla Consuma seguite i cartelli per Roncisvalle ma attenti
a non prendere la ciclabile per Prato che vi porta in culo al mondo
...ecc, ecc" come se il Milanese o il Padovano di turno fossero
dei Garmin-viventi e conoscessero a memoria gli svincoli e le strade
d'Italia) beh comunque mettersi nei panni degli altri è sempre stato
un gran problema!
Comunque torniamo a Biella: veniamo
scortati con una blanda andatura fin quasi ad Ivrea poi il gruppo si
spezza e si procede con moderazione fino ad Aosta, nel frattempo ho
il piacere di conoscere personalmente “Cimebianche” che tra
l’altro ha una casa da queste parti e mi illustra le oscurate
bellezze architettoniche locali. Poi, rimasto con una decina di
randagi, mi incaponisco a seguire in solitaria la traccia GPS mentre
tutti proseguono sulla comoda provinciale; il risultato è che ho il
modo di apprezzare la bellezza di vari paesini come Pollein ma
perdendo tempo e faticando “inutilmente”. Poco prima di
Courmayeur la strada inizia ad inerpicarsi verso La Thuile e poi su
su fino ai 2200 mt del Piccolo San Bernardo. E’ prima vera salita
del tour ed è anche la prima volta che salgo in bici a queste
altitudini per di più in notturna. Sarà l’atmosfera sciccosa
della zona, sarà che trovare le classiche scritte per terra
inneggianti non a Righetti o Ballabio ma a Thor Hushovd o a T.
Voeckler beh sta il fatto che affronto la salita a manetta e arrivo
su in cima solitario mentre albeggia in un paesaggio surreale tra
rocce, nevai, nebbia e un freddo cane: 6 gradi ti gelano il sudore e
le meningi e mentre mi butto in discesa intravedo l’enorme statua
del Santo che nella nebbia sembra voglia cogliere l’occasione per
allungarmi una bastonata memore di tutti i miei peccati passati
presenti e futuri.
Arrivo alle 6,30 al primo ristoro a
Bourg Saint Maurice dopo circa 185 km totalmente surgelato e i
gentilissimi organizzatori mi ricoverano subito all’interno della
loro roulotte dove mangio e bevo di tutto, poi parto per il Cormet de
Roselend. Qui scopro una simpatica caratteristica francese, ovvero
quella di costellare le salite di segnaletica ciclistica recante
precise indicazioni su: quanti km mancano alla fine, altitudine e
pendenza del prossimo km. All’inizio mi sembra una figata ma dopo
un po’ capisco che tutte queste informazioni uccidano la sorpresa e
la speranza che “forse dopo quella curva scolliniamo o spiana”
invece così il verdetto è palese e sai che inesorabilmente dovrai
spremerti per altri 9km e che il prossimo sarà all’8% e quindi ti
dovrai ancora spremere prima dell'agognata discesa. Per fortuna lo
spettacolo è di prima e l’aria inizia a scaldarsi anche se nella
discesa sullo splendido lago alpino di Roselend mi devo fermare
mentre mi sorpassano i due ragazzi valdostani che arriveranno per
primi a Biella. Bisogna dire che le salite sono lunghe ma
assolutamente pedalabili e che l’alta Savoia, e qui scopro l'acqua
calda, è davvero una splendida regione. Mi ciuccio anche il colle
Saisies sul quale campeggia questa enorme statua al ciclista ignoto.
Altra discesona e a questo punto giunto al 260km di Megeve mi dico
“il più è fatto”…questo è l’errore più grave del
ciclo-randagio, perché gli ultimi km rischiano di trasformarsi in un
calvario infinito. Tale calvario assume colori e calori estivi ma
soprattutto si concretizza nella ciclabile per Chamonix. Adesso è
vero che se il nome non fa l’uomo tanto meno farà una strada ma
mi ero illuso che il tratto che porta sotto al Monte Bianco fosse un
nastro pianeggiante in legno di teak e che mi portasse alla meta tra
verdi praterie ove leggiadre giovani vestite in costumi locali
offrivano frutta di vario genere (if you know what I mean…) di
certo non ero pronto a questa strada stretta, ripida e bucherellata
degna di una carrettiera albanese. Essendo sabato pomeriggio la via
era anche trafficata da automezzi incautamente sgommanti con alla
guida giovani tazzurri locali che sparpagliavano da impianti di
500watt musicaccia degna dei bassifondi di Las Vegas. Sembrava che
tutte le macchine del 74° arrondissement avessero qualcosa da
cercare su quella carrettiera e sicuramente l’avevano a meno che
non stessero provando la prossima Parigi-Dakar. Intanto che
smoccolavo capii come mai, visto lo stato delle ciclabili, la MTB
spopolasse tra i giovani francesi. Ma come spesso accade in mezzo
alla spazzatura si trovano perle inattese, sostanziate in questo caso
dalla splendida scuola di Vaudagne dove sia per l’estetica che per
la vista mozzafiato non mi dispiacerebbe andare a finire la mia
carriera docente.
Certo la vista del gruppo del Bianco è
notevole soprattutto per la corpulenza del massiccio in generale ma
comunque l’arrivo a Chamonix è reso piacevole dalla brezza che una
volta tanto soffia in mio favore. Sono davvero cotto e per fortuna
passano due ragazzi che stanno andando a fare un giro sul Forclaz e
mi scortano fino al ricovero di Trient raggiunto dopo 330 km coperti
in poco più di 17 ore .
Il quartier di tappa a Trient è
alloggiato in una pensione che ha visto giorni migliori ma è
comunque funzionale. Ci sono i due di Aosta che ripartiranno senza
neppure farsi la doccia invece io me la prendo comoda mentre i
ragazzi dell´organizzazione mi preparano una splendida pasta in
bianco impietositi dalla mia condizione di vegetariano. Mi diranno
poi gli altri randagi che mi e´ andata di lusso visto che il riso di
ordinanza era praticamente crudo. Mi cambio e rinasco, provo a
mettermi in branda ma l´arrivo degli altri randagi mi sveglia
cosi´sonnecchio un poco e decido che è meglio ripartire. Cerco però
di organizzare un gruppetto che alla fine sarà composto dal russo
Igor, Marco mobiliere della Valsassina e Gaetano, simpatico ragazzo di
Vicenza che gira con un impressionante casco da downhill "perchè
ha visto troppa gente conciarsi male in bici" considerazione
assolutamente condivisibile, soprattutto da uno come me che l´anno
scorso ha rischiato di rompersi due vertebre in discesa, peccato che
tanta prudenza non lo fermi dall'affrontare la discesa dal colle di
Forclaz a velocità sconsiderata . Devo ammettere che la picchiata su
Martigny e´ decisamente invitante e spettacolare come sarà tutta la
valle del Rodano. C´è addirittura il vento a favore il che conferma
che e´ una zona veramente fortunata e unica come del resto tutto il
Vallese, un cantone che vanta svariati record europei possedendo il
più grande ghiacciaio e la più grande diga, il più grande lago
sotterraneo e secondo noi anche il più lungo rettilineo perchè
andando verso Briga ci sono delle tirate infinite. Nel frattempo il
nostro amico di San Pietroburgo ci ha mollato incazzatissimo perchè
da anarcoidi italiani quali siamo insistiamo a starcene sulla
provinciale per Sion invece che seguire la parallela traccia GPS.
Strada facendo notiamo una passione
nazional-calcistica che ci lascia perplessi visto che e´ tutto un
susseguirsi di macchine claxonanti con bandiere portoghesi, italiane
o spagnole. Siamo durante gli europei, è vero, ma evidentemente la
lontananza dalla terra nativa amplifica la passione, come testimonia
la proprietaria di un bar dove ci fermiamo a bere qualcosa che, da
buona portoghese, vede già la coppa in mano a Cristiano Ronaldo. La
lasciamo a cullarsi nelle sue chimere calcistiche mentre notiamo che
nel frattempo dal francese siamo passati al tedesco, altro
particolare di un cantone quadri-lingue, e finalmente arriviamo ai
piedi del Sempione dove l´amico vicentino ci lascia, ufficialmente
per riposare anche se la vicinanza di un paio di localini
"movimentati" ci fa venire qualche sospetto. Rimaniamo
quindi a mezzanotte solo io e Marco all'attacco del gigante
Simplon, avremmo voluto prendere la versione soft della provinciale
ma il GPS ci trascina su per i ruvidi tornanti della "scorciatoia".
Io inizio ad avere male al soprasella cosi´ continuo a scattare sui
pedali non tanto per le pendenze, comunque ragguardevoli, quanto per
far rifiatare un po´ le dolenti zone. Giorgio invece sale più
regolare e quando raggiungiamo lo stradone che ci porterà in cima e´
decisamente più tranquillo anche se la salita nei 23 km non molla
mai neanche per un metro. La nottata e´ decisamente mistica e
piacevole, niente luna ma una stellata infinita. In cima ritroviamo i
gentilissimi ragazzi del camper che preparano un buon te, mangiamo
quanto possiamo e facciamo squadra con due ragazzi di Cuneo che
staranno con noi fino all'arrivo. La discesa e' bellissima e
ritorniamo in Italia mentre albeggia. La prima chiara testimonianza
del nostro rientro in patria e' purtroppo rappresentata dal pietoso
stato delle gallerie verso Domodossola. Dopo 24 ore tra Vallee',
Savoia e Vallese c'eravamo illusi che le strade potessero essere ben
tenute ma evidentemente dalle nostre parti ci sono altre priorità
nello spendere i soldi pubblici, tipo bombardare i poveri Afgani.
Comunque ci ritroviamo a poco più di
100km pianeggianti dall'arrivo e ci diciamo "beh e' finita"
come sopra…mai dire o pensare una cosa del genere. Gli ultimi
strappi sembrano il Mortirolo e quando ogni tanto anche il GPS mi
manda fuori strada capisco dai commenti dei soci che non ne hanno più
neanche loro. Credo sia tutta una questione di testa e l'esperienza
servirà anche a non rifare questo errore in futuro, forse mi
scriverò sulla bici "non dire gatto finchè non sei arrivatto"
o qualche bestialità simile perchè non e' possibile passare le
ultime ore come dei nafraughi su una scialuppa alla spasmodica
ricerca di un'isola. Parafrasando don Bosco che diceva " Dovete
pensare come se foste immortali e agire come se fosse l'ultimo giorno
della vita" potrei dire che durante una randonnee bisognerebbe
sempre pedalare come se si fosse al primo km ma con i pensieri che si
hanno all'ultimo...
La situazione comunque precipita quando
scopriamo di aver saltato l'ultimo controllo che in effetti io non mi
ero segnato nella traccia GPS visto che' e' stato aggiunto solo
all'ultimo secondo. Una telefonata all'organizzazione ed il
conseguente timbro in un hotel locale ci evitano altri 20km fuori
programma che le mie chiappe avrebbero decisamente rifiutato.
Arriviamo quindi a Biella verso le 9 e 30 e riuscendo a stare
abbondantemente sotto alle 40 ore .
Credo che tutto insegni nella vita e la
prima 600km, e che 600!!, possa insegnare ancora di più.
Innanzitutto dovrò cercarmi una nuova
sella perchè e' proprio vero che quello che può andare bene in una
400 non deve necessariamente funzionare in una 600 e io all'arrivo mi
sento come se avessi passato una "caliente" nottata tra le
"cure" di King Kong.
Poi ho imparato che è sempre meglio,
se possibile, pedalare con altri, mangiare continuamente e tenere
alto il morale. Il tempo speso nella scelta dell'abbigliamento per
portarsi solo quello di cui si avrà bisogno non sarà mai troppo. Il
mio dubbio iniziale tra il brevetto da 50 e quello da 40 si e'
risolto da se' ma ancora una volta sono reazioni fisiche personali
che solo con l'esperienza si possono prevedere. Adesso so cosa posso
fare!
Il più bel ricordo che resta comunque,
oltre alla gentilezza degli organizzatori, e' stato un bambino
francese che proprio sull'orribile pista per Chamonix dopo aver
guardato il numero sulla bici e il mio sguardo stravolto mi ha
caldamente applaudito ridandomi morale…come dire che anche solo la
purezza di un piccolo gesto può ancora trasformare il nero in
Bianco.
Uno dei più bei racconti che ho mai letto anzi divorato.
RispondiEliminaOra ti sono tornate in mente un po dissi pedalando assieme.
Purtroppo le cose da curare con precedenza in bici non risultano cosi ovvie come quando. Si provano sulla propria pelle.
ORA IL PROSSIMO. PASSO. SARA LOTTARE. CON IL SONNO, CHE IN QUESTO 600 AVVRAI. SOLO ASSAGGIATO.
IN BOCCA AL LUPO PER LE RANDONNEURCESAREBGUSB, MA SOPRATUTTO PER LA SITUAZIONE DI CASA.
DA SILVANO (PARADISO).