giovedì 5 luglio 2012

Il Bianco e il nero.


Nel corso del mio viaggio di avvicinamento verso i meandri della sado-follia umana nonchè della 1001 miglia mi sono trovato ad affrontare il problema della 600 km, brevetto appunto necessario per potersi iscrivere alla succitata randonnee, una fachirata da 1600 km a zonzo per l’Italia da coprire in massimo 135 ore nel fresco del Ferragosto!
Avevo previsto di partecipare alla rando di Castelfranco del 9 giugno ma il 29 maggio, durante il consueto giretto nella bassa modenese, sento la bici che mi salta via e contemporaneamente una forte ventata .Continuo a pedalare ma inizio a notare che la gente è tutta per strada che guarda preoccupata la propria abitazione, quando dopo pochi minuti vedo che la facciata della pizzeria dopo Ponte Pioppa è sbriciolata in mezzo alla strada capisco che questa scossa è stata pesa. Quando entro a Cavezzo trovo una scena da tragedia: case e capannoni sbriciolati, gente in lacrime e caos totale nelle strade. I cellulari non funzionano. Panico, mi sento totalmente fuori luogo con la mia bici da corsa in mezzo a questo inferno perciò scappo ipnotizzato dalla scena di distruzione che mi scorre davanti agli occhi per cercare la mia famiglia. Per fortuna stanno tutti bene e anche le nostre case sono ancora in piedi, purtroppo come sapete le scosse continueranno riuscendo a togliere sicurezze e pace a tutti. Solo chi lo ha vissuto può capire come un terremoto scavi in profondità insinuando crepe nei muri e nelle menti: è evidente come in questa condizione avessi altro in mente che andare in bici per preparare la 600 di Castelfranco. 

Nei giorni successivi al botto il sisma continua a essere una presenza così invasiva che in certi posti di lavoro iniziano a comparire cartelli “Vietato parlare del terremoto”. Così anch’io, chiuso con triste anticipo l’anno scolastico, torno, tra i cazziatoni di mia moglie, al mio futile brevetto per la 1001 miglia. Chiodo scaccia chiodo. Per il 23 giugno avevo già da tempo addocchiato la Randonnee del Bianco, partenza da Biella e a seguire Val d’Aosta, Francia e Svizzera per rientrare, forse, in Italia dopo essersi scammellati oltre 10000mt di dislivello. Se non è follia questa…
Beh comunque se ce la fanno gli altri perché non dovrei riuscirci anch’io? In fin dei conti nelle fotografie delle edizioni precedenti vedo persone normali, ciclisti appassionati ma non Supermen e poi il panorama da mozzafiato, penso, mi darà una spinta in più.
Il primo contatto con l’ambiente di Biella è sulla terrazza del ristorante Atena dove la cena pre-partenza viene elegantemente servita in una rilassata atmosfera che non lascerebbe presagire che quella trentina di ciclo-fachiri presenti dopo qualche ora sarebbe stata alle prese con alcune delle più dure salite della propria vita. Alle 22 dopo le ultime indicazioni, che, seppur fondamentali. pochi ascoltano e ancor meno capiscono, si parte.
( Mi piacerebbe qui inserire una digressione su come gli organizzatori di queste ciclo-torture, se ne arrivino beati col megafono al punto di partenza mentre uno sta rimuginando se ha preso tutto e soprattutto cosa sta facendo lì e illustrano in 5 minuti tutte le modifiche al tracciato tipo"da Poggibonsi alla Consuma seguite i cartelli per Roncisvalle ma attenti a non prendere la ciclabile per Prato che vi porta in culo al mondo ...ecc, ecc" come se il Milanese o il Padovano di turno fossero dei Garmin-viventi e conoscessero a memoria gli svincoli e le strade d'Italia) beh comunque mettersi nei panni degli altri è sempre stato un gran problema!
Comunque torniamo a Biella: veniamo scortati con una blanda andatura fin quasi ad Ivrea poi il gruppo si spezza e si procede con moderazione fino ad Aosta, nel frattempo ho il piacere di conoscere personalmente “Cimebianche” che tra l’altro ha una casa da queste parti e mi illustra le oscurate bellezze architettoniche locali. Poi, rimasto con una decina di randagi, mi incaponisco a seguire in solitaria la traccia GPS mentre tutti proseguono sulla comoda provinciale; il risultato è che ho il modo di apprezzare la bellezza di vari paesini come Pollein ma perdendo tempo e faticando “inutilmente”. Poco prima di Courmayeur la strada inizia ad inerpicarsi verso La Thuile e poi su su fino ai 2200 mt del Piccolo San Bernardo. E’ prima vera salita del tour ed è anche la prima volta che salgo in bici a queste altitudini per di più in notturna. Sarà l’atmosfera sciccosa della zona, sarà che trovare le classiche scritte per terra inneggianti non a Righetti o Ballabio ma a Thor Hushovd o a T. Voeckler beh sta il fatto che affronto la salita a manetta e arrivo su in cima solitario mentre albeggia in un paesaggio surreale tra rocce, nevai, nebbia e un freddo cane: 6 gradi ti gelano il sudore e le meningi e mentre mi butto in discesa intravedo l’enorme statua del Santo che nella nebbia sembra voglia cogliere l’occasione per allungarmi una bastonata memore di tutti i miei peccati passati presenti e futuri. 

Arrivo alle 6,30 al primo ristoro a Bourg Saint Maurice dopo circa 185 km totalmente surgelato e i gentilissimi organizzatori mi ricoverano subito all’interno della loro roulotte dove mangio e bevo di tutto, poi parto per il Cormet de Roselend. Qui scopro una simpatica caratteristica francese, ovvero quella di costellare le salite di segnaletica ciclistica recante precise indicazioni su: quanti km mancano alla fine, altitudine e pendenza del prossimo km. All’inizio mi sembra una figata ma dopo un po’ capisco che tutte queste informazioni uccidano la sorpresa e la speranza che “forse dopo quella curva scolliniamo o spiana” invece così il verdetto è palese e sai che inesorabilmente dovrai spremerti per altri 9km e che il prossimo sarà all’8% e quindi ti dovrai ancora spremere prima dell'agognata discesa. Per fortuna lo spettacolo è di prima e l’aria inizia a scaldarsi anche se nella discesa sullo splendido lago alpino di Roselend mi devo fermare mentre mi sorpassano i due ragazzi valdostani che arriveranno per primi a Biella. Bisogna dire che le salite sono lunghe ma assolutamente pedalabili e che l’alta Savoia, e qui scopro l'acqua calda, è davvero una splendida regione. Mi ciuccio anche il colle Saisies sul quale campeggia questa enorme statua al ciclista ignoto.

 Altra discesona e a questo punto giunto al 260km di Megeve mi dico “il più è fatto”…questo è l’errore più grave del ciclo-randagio, perché gli ultimi km rischiano di trasformarsi in un calvario infinito. Tale calvario assume colori e calori estivi ma soprattutto si concretizza nella ciclabile per Chamonix. Adesso è vero che se il nome non fa l’uomo tanto meno farà una strada ma mi ero illuso che il tratto che porta sotto al Monte Bianco fosse un nastro pianeggiante in legno di teak e che mi portasse alla meta tra verdi praterie ove leggiadre giovani vestite in costumi locali offrivano frutta di vario genere (if you know what I mean…) di certo non ero pronto a questa strada stretta, ripida e bucherellata degna di una carrettiera albanese. Essendo sabato pomeriggio la via era anche trafficata da automezzi incautamente sgommanti con alla guida giovani tazzurri locali che sparpagliavano da impianti di 500watt musicaccia degna dei bassifondi di Las Vegas. Sembrava che tutte le macchine del 74° arrondissement avessero qualcosa da cercare su quella carrettiera e sicuramente l’avevano a meno che non stessero provando la prossima Parigi-Dakar. Intanto che smoccolavo capii come mai, visto lo stato delle ciclabili, la MTB spopolasse tra i giovani francesi. Ma come spesso accade in mezzo alla spazzatura si trovano perle inattese, sostanziate in questo caso dalla splendida scuola di Vaudagne dove sia per l’estetica che per la vista mozzafiato non mi dispiacerebbe andare a finire la mia carriera docente. 

Certo la vista del gruppo del Bianco è notevole soprattutto per la corpulenza del massiccio in generale ma comunque l’arrivo a Chamonix è reso piacevole dalla brezza che una volta tanto soffia in mio favore. Sono davvero cotto e per fortuna passano due ragazzi che stanno andando a fare un giro sul Forclaz e mi scortano fino al ricovero di Trient raggiunto dopo 330 km coperti in poco più di 17 ore .
Il quartier di tappa a Trient è alloggiato in una pensione che ha visto giorni migliori ma è comunque funzionale. Ci sono i due di Aosta che ripartiranno senza neppure farsi la doccia invece io me la prendo comoda mentre i ragazzi dell´organizzazione mi preparano una splendida pasta in bianco impietositi dalla mia condizione di vegetariano. Mi diranno poi gli altri randagi che mi e´ andata di lusso visto che il riso di ordinanza era praticamente crudo. Mi cambio e rinasco, provo a mettermi in branda ma l´arrivo degli altri randagi mi sveglia cosi´sonnecchio un poco e decido che è meglio ripartire. Cerco però di organizzare un gruppetto che alla fine sarà composto dal russo Igor, Marco mobiliere della Valsassina e Gaetano, simpatico ragazzo di Vicenza che gira con un impressionante casco da downhill "perchè ha visto troppa gente conciarsi male in bici" considerazione assolutamente condivisibile, soprattutto da uno come me che l´anno scorso ha rischiato di rompersi due vertebre in discesa, peccato che tanta prudenza non lo fermi dall'affrontare la discesa dal colle di Forclaz a velocità sconsiderata . Devo ammettere che la picchiata su Martigny e´ decisamente invitante e spettacolare come sarà tutta la valle del Rodano. C´è addirittura il vento a favore il che conferma che e´ una zona veramente fortunata e unica come del resto tutto il Vallese, un cantone che vanta svariati record europei possedendo il più grande ghiacciaio e la più grande diga, il più grande lago sotterraneo e secondo noi anche il più lungo rettilineo perchè andando verso Briga ci sono delle tirate infinite. Nel frattempo il nostro amico di San Pietroburgo ci ha mollato incazzatissimo perchè da anarcoidi italiani quali siamo insistiamo a starcene sulla provinciale per Sion invece che seguire la parallela traccia GPS.
Strada facendo notiamo una passione nazional-calcistica che ci lascia perplessi visto che e´ tutto un susseguirsi di macchine claxonanti con bandiere portoghesi, italiane o spagnole. Siamo durante gli europei, è vero, ma evidentemente la lontananza dalla terra nativa amplifica la passione, come testimonia la proprietaria di un bar dove ci fermiamo a bere qualcosa che, da buona portoghese, vede già la coppa in mano a Cristiano Ronaldo. La lasciamo a cullarsi nelle sue chimere calcistiche mentre notiamo che nel frattempo dal francese siamo passati al tedesco, altro particolare di un cantone quadri-lingue, e finalmente arriviamo ai piedi del Sempione dove l´amico vicentino ci lascia, ufficialmente per riposare anche se la vicinanza di un paio di localini "movimentati" ci fa venire qualche sospetto. Rimaniamo quindi a mezzanotte solo io e Marco all'attacco del gigante Simplon, avremmo voluto prendere la versione soft della provinciale ma il GPS ci trascina su per i ruvidi tornanti della "scorciatoia". Io inizio ad avere male al soprasella cosi´ continuo a scattare sui pedali non tanto per le pendenze, comunque ragguardevoli, quanto per far rifiatare un po´ le dolenti zone. Giorgio invece sale più regolare e quando raggiungiamo lo stradone che ci porterà in cima e´ decisamente più tranquillo anche se la salita nei 23 km non molla mai neanche per un metro. La nottata e´ decisamente mistica e piacevole, niente luna ma una stellata infinita. In cima ritroviamo i gentilissimi ragazzi del camper che preparano un buon te, mangiamo quanto possiamo e facciamo squadra con due ragazzi di Cuneo che staranno con noi fino all'arrivo. La discesa e' bellissima e ritorniamo in Italia mentre albeggia. La prima chiara testimonianza del nostro rientro in patria e' purtroppo rappresentata dal pietoso stato delle gallerie verso Domodossola. Dopo 24 ore tra Vallee', Savoia e Vallese c'eravamo illusi che le strade potessero essere ben tenute ma evidentemente dalle nostre parti ci sono altre priorità nello spendere i soldi pubblici, tipo bombardare i poveri Afgani.
Comunque ci ritroviamo a poco più di 100km pianeggianti dall'arrivo e ci diciamo "beh e' finita" come sopra…mai dire o pensare una cosa del genere. Gli ultimi strappi sembrano il Mortirolo e quando ogni tanto anche il GPS mi manda fuori strada capisco dai commenti dei soci che non ne hanno più neanche loro. Credo sia tutta una questione di testa e l'esperienza servirà anche a non rifare questo errore in futuro, forse mi scriverò sulla bici "non dire gatto finchè non sei arrivatto" o qualche bestialità simile perchè non e' possibile passare le ultime ore come dei nafraughi su una scialuppa alla spasmodica ricerca di un'isola. Parafrasando don Bosco che diceva " Dovete pensare come se foste immortali e agire come se fosse l'ultimo giorno della vita" potrei dire che durante una randonnee bisognerebbe sempre pedalare come se si fosse al primo km ma con i pensieri che si hanno all'ultimo...
La situazione comunque precipita quando scopriamo di aver saltato l'ultimo controllo che in effetti io non mi ero segnato nella traccia GPS visto che' e' stato aggiunto solo all'ultimo secondo. Una telefonata all'organizzazione ed il conseguente timbro in un hotel locale ci evitano altri 20km fuori programma che le mie chiappe avrebbero decisamente rifiutato. Arriviamo quindi a Biella verso le 9 e 30 e riuscendo a stare abbondantemente sotto alle 40 ore .
Credo che tutto insegni nella vita e la prima 600km, e che 600!!, possa insegnare ancora di più.
Innanzitutto dovrò cercarmi una nuova sella perchè e' proprio vero che quello che può andare bene in una 400 non deve necessariamente funzionare in una 600 e io all'arrivo mi sento come se avessi passato una "caliente" nottata tra le "cure" di King Kong.
Poi ho imparato che è sempre meglio, se possibile, pedalare con altri, mangiare continuamente e tenere alto il morale. Il tempo speso nella scelta dell'abbigliamento per portarsi solo quello di cui si avrà bisogno non sarà mai troppo. Il mio dubbio iniziale tra il brevetto da 50 e quello da 40 si e' risolto da se' ma ancora una volta sono reazioni fisiche personali che solo con l'esperienza si possono prevedere. Adesso so cosa posso fare!
Il più bel ricordo che resta comunque, oltre alla gentilezza degli organizzatori, e' stato un bambino francese che proprio sull'orribile pista per Chamonix dopo aver guardato il numero sulla bici e il mio sguardo stravolto mi ha caldamente applaudito ridandomi morale…come dire che anche solo la purezza di un piccolo gesto può ancora trasformare il nero in Bianco.